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    4BppZY9

    Le Prime Ore
    Ièn Cariad




    Ultima Segmentum
    Frangia Orientale
    Limes Inferior del Golfo di Damocle

    Alto Garonbass
    Sub-Sector Psnazna
    Sistema di Vauth-Avtamat

    Mondo di Chornova Rad’ II
    Distretto di Arkantavask
    Or’Olan ‘Blast
    M42.025, Terzo di Gennaio



    Il lungo respiro dei turbojet scorreva in fondo, verso la poppa della Valkyrie. Gli spingeva nei timpani un muro di pressione ovattata, che i tappi riequilibranti contrastavano alla meglio. Per vicini che fossero i bisbigli dei suoi compagni o lo sdrucciolare dei loro stivali sul pavimento, quella dei reattori era una nota continua.
    Sovrana, a modo suo.
    Si spinse allo schienale del seggiolino, trovando lo zaino tattico e il paracadute a bloccarlo in una posizione china in avanti. Ci lottò contro con un altro colpo di reni, ma non servì a niente. Con tutta quella robaccia addosso, la sua mobilità era molto bassa.
    Occhieggiando al tetto del vano di carico, Ièn aggrottò la fronte. Quanto era vera la Sacra Terra, appena sbarcato si sarebbe liberato del paracadute.
    Quel macigno pesava.
    Tirò su lo scalda-collo scuro, portandolo al naso. Espirò dalle narici, sentendo il proprio fiato caldo scorrergli sulla faccia; quindi, torse lo sguardo all’oblò alla sua destra. La Zona Demilitarizza già sfumava via, liquefatta dalle propaggini a ragnatela della Marinska.
    Casolari abbandonati negli ultimi decenni del Millennio Precedente e torrenti abbandonati a sé stessi tagliavano in lungo, piuttosto che in largo, un’espansa area di prati viola e rossi.
    Era tutto assopito.
    I due soli non erano ancora sorti, ma crescenti lame di sbiadita luce rossa s’intravedevano negli squarci tra una nuvola e l’altra. Una macchia di xeno-vegetazione arborea scivolò attraverso il campo visivo dell’oblò, con i suoi alberi dai rami tutti intrecciati, pieni di piccoli bozzi violacei che mandavano sussulti di bioluminescenza.
    Un vecchio cartellone pubblicitario li seguì. Ièn curvò le labbra in un mezzo sogghigno; la carta era invecchiata, scoprendo una precedente stesura scritta in Haron. Scosse il capo, accomodando alla meglio i gomiti sulle ginocchiere.
    C’era dell’ironia in quel cartello, tra il suo promettere ai nuovi residenti gli alti standard di vita dell’amministrazione congiunta T’au-Atventa e l’essere, alla fin fine, una pubblicità eretta in mezzo al nulla dimenticato.
    Ozymandias, Re dei Re.
    Un lampeggio lo fece voltare. Al di là dell’oblò, riflessi su di una slabbrata polla d’acqua, le sagome di tre Valkyrie volavano in formazione larga. Le luci erano quelle dei loro reattori, spinti a sostenere una media crociera a bassa quota.
    «Te lo ricordi il G’an-tank?», chiese Sirio rompendo il silenzio. Ièn gli lanciò un’occhiata, poi abbassò gli occhi al pavimento. Non erano affari suoi, quelli.
    «Sepherus Prime?»
    «No, no! Era… Moracres? Marcus-Rax?»
    «Marcus-Rax», disse Aurelios. «Era lì che se ne stava il bastardo.»
    Sirio schioccò le dita. Con i guanti, il suono era basso. Non dava soddisfazione. «Dici che ne hanno uno anche qui?»
    «Nah...»
    Quei nomi non gli erano del tutto nuovi, però. Marcus-Rax non era lì da quelle parti? Tipo, verso la fine del Garonbass Inferiore? Cercando di tirarsi un po’ su con la schiena, Ièn afferrò una delle maniglie di sicurezza infisse al soffitto. L’occhio gli cadde sul display che portava legato al polso. Il suo riflesso, tinto sul vetro opaco, gli rispose con uno sguardo mascherato, con gli occhi a mezz’asta.
    Ma perché non attacchiamo mai di secondo pomeriggio? Chi l’aveva deciso che la guerra la si doveva fare sempre alle calende terrane? Uno mattiniero, di sicuro.
    Sbloccò lo schermo con un ticchettio dell’indice e rilesse gli ordini dati dal maggiore. Or’Olan. Ancoraggio aereo. Torre di Controllo e hangar del quadrante nord-ovest, ex piazzale Horlandius.
    Chiuse lo schermo e si riscosse un po’, gonfiando e rilassando i bicipiti sotto la mimetica e l’armatura da combattimento anti-scheggia.
    «Trono d’Oro», bisbigliò Zhì guardandosi attorno tutta guardinga, «ma allora li hanno veramente zittito il sistema...»
    «Non chiamarcela addosso, Occhietti.»
    Ed ecco il loro solito bisticcio.
    «Vai a fare in culo, ‘Hava.»
    «Oy, non voglio essere abbattuta perché non hai tenuto il becco chiuso.»
    «Non succederà. Lo sai il perché? Perché...»
    A mezz’aria esplose un sussulto e Ièn represse un falso colpo di tosse. L’onda d’urto scivolò via, lontana dalla Valkyrie.
    «Carrier Vang-Primus, rileviamo contromisure al nostro arrivo. Richiesta Affermativo-Negativo per continuo missione, passo.»
    «Stavi dicendo, Occhietti?!»
    «Oh», borbottò lei stringendosi ai braccioli del seggiolino, «ora sono diventata Errore...»
    «Confermiamo contromisure nemiche attive sui nostri auspex, Carrier Vang-Primus.» Una breve pausa ruppe quella serie di parole, pronunciate in un leggero accento di Byelaron. «Comando riporta; Affermativo per continuo missione.»
    «Ricevuto, passo e chiudo.»
    Ièn spostò su e giù la mascherina degli occhialoni tattici, facendo cigolare i piccoli morsetti di plastica rinforzata. La tirò in alto, lasciandola ricadere sull’elmetto integrale. Sorrise al suono dello schiocco, così stupido e deciso.
    Gli scoppi volevano dire che quelli dell’altra parte avevano capito cosa stesse succedendo. Ne nacque un altro e scavalcò il fischiare dei turbo-jet propulsori, ruzzolando sopra alla carlinga. Era stato da qualche parte verso sinistra. Più in alto del precedente, di sicuro.
    «Lancia i flares, Due», disse Sahara, la sua voce amplificata dai recettori dell’Intervox di bordo. «Continuo la navigazione.»
    Da una delle loro apparecchiature, tutte assemblate in semicerchi ricolmi di spie luminose e interruttori e levette, sgorgò un'altra volta un pulsante segnale acustico, breve e intermittente. Un’ondata di reazioni attraversò i suoi compagni; Zhì incassò la testa tra le spalle, senza staccare gli occhi dal pavimento zigrinato del vano di carico.
    Aurelios e Sirio si scambiarono un cenno rapido, ma non si scomodarono. Per loro, era chiaro, tutto quello non era qualcosa di nuovo.
    Hahàva strinse l’impugnatura della sua las-carabina Accatran, tamburellando con l’indice sulla protezione balistica del grilletto. Zhayn alzò gli occhi al soffitto della fusoliera, mentre Joshùa, Taril, Syrene e Yan si strinsero contro i sedili, aggrappandosi alle cinture di sicurezza.
    Ièn occhieggiò all’ingresso della cabina di pilotaggio, alle luci di segnalazione ancora rosse. In contrasto con loro c’erano le silhouette dei due piloti.
    Ièn si piegò in avanti, trovando le cinture di sicurezza a trattenerlo contro il seggiolino. Ci infilò il gomito in mezzo e le spinse lontano da sé, forzando i loro bordi a grattargli su e giù lungo il colletto della mimetica operativa.
    Era un allarme di prossimità, dal transcanner radar di bordo.
    Ièn strinse i denti, occhieggiando alla testa del vano di carico; al di là dell’ingresso, oltre le due luci di posizione, i due si muovevano da una console all’altra con pratica professionalità. In alto, in basso, lungo i lati. Circondati da cogitator e pulsantiere, fronteggiavano un cupolino attraversato da striature azzurrine e spettrali rimanenze di scie di scarico.
    Uh, quindi alla fine ci hanno rilevato...
    Torno ad appoggiare lo zaino operativo allo schienale, facendo rilassare la presa delle cinture. Posò la mano sinistra all’impugnatura della sua las-carabina e prese a tamburellarci le dita sopra. Battiti netti contro un’arcata di leghe.
    Zhì gli lanciò un’occhiata di sbieco, alla quale rispose stringendo le spalle. Se lo fai tu, Occhietti, lo faccio anche io.
    Per tutta risposta lei alzò un pollice, poi tracciò una linea retta davanti a sé. Annuendo, Ièn abbassò gli occhi al proprio equipaggiamento. Il fucile era trasversale al suo torace, trattenuto contro l’armatura antischegge da piccoli dobloni magnetici e da una tracolla nera. Si assicurò che quest’ultima fosse salda, poi disattivò uno dei dobloni con un ticchettio dell’indice sul suo glifo d’attivazione.
    Rivolse l’arma per dare un’occhiata al display laterale, incassato in un piccolo quadrante ottagonale di plexiglass potenziato. Sbloccò lo schermo con la sua password a tre caratteri, poi aprì il riassunto operativo con un colpetto dell’indice.
    La cella energetica era a massima carica, il selettore di fuoco impostato in semi-automatico, la sicura era attiva, il mirino configurato per agganciarsi subito al visore HUD dell’elmetto.
    E la torcia aveva le batterie cariche al massimo. Come dice il maggiore, no? Non si è mai troppo sicuri.
    Tutto in ordine, quindi.
    Riattivare il bullone, però, era abbastanza inutile. A breve avrebbe dovuto usarlo, quel fucile; meglio averlo subito a portata di mano, senza altre operazioni di rito.
    Tornò con la mano a fasciare l’impugnatura e alzò l’indice per non appoggiarlo sul grilletto. Con la destra si assicurò di nuovo della presa degli occhialoni sulla calotta superiore dell’elmetto. Come li stava tirando, mettendo alla prova l’elasticità delle fasce, Zhì gli batté un colpetto sulla spalla.
    «Smettila di cazzeggiare con l’equipaggiamento.»
    «Ah, lasciami perdere.» Strattonò gli occhialoni con il pollice e li lasciò andare, producendo uno schiocco sonoro. «Abitudine.»
    «Sì, ma mi metti l’ansia addosso.»
    Tutto ti mette ansia, Quattro-Scatole. «Ah-aha.»
    Dal ventre della Valkyrie sopraggiunsero degli sbuffi ovattati. Erano i flares.
    Taril giocherellò con il moschettone delle sue cinture di sicurezza. «Dici che ci prendono?», chiese prendendo a guardarsi attorno. «Ci prendono...»
    «Beh...»
    «Così davvero te la chiami addosso», intervenne Aurelios, piegandosi in avanti. Era troppo ampio e alto per quei sedili. «Fai come sta facendo Libri, qui. Se succede, succede.»
    Quanta saggezza...
    Ièn sospirò, poi tirò su lo scalda-collo fino a coprirsi tutta la metà inferiore del viso. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di ricevere una risposta. Abbassò il visore dell’elmetto e fece spallucce.
    «Ha ragione.»
    «Ma… vi è successo, prima?»
    Aurelios si volse a guardare Sirio, che incrociò le braccia. «Sì, in Armageddon. Qualche anno fa.»
    «Ah.» Taril sfregò gli stivali sul pavimento. «Confortante.»
    «Ci poteva andare peggio!», Aurelios gli sferrò una pacca sulle spalle, sbilanciandolo in avanti. «Potevamo essere aurelici.»
    Sirio alzò l’indice. «Ti ricordo che c’erano anche loro.»
    «Sì, beh...», Aurelios strattonò le proprie cinture, facendole schioccare a vuoto. «Cos’è che si dice del prezzemolo?»
    Uno scossone eruppe sotto di loro, riversando un’ondata di tremori contro il pavimento. Le luci di posizione tremolarono, riassestandosi sulla loro fissa tonalità rossa solo dopo alcuni secondi.
    «Visto? Non ci hanno preso.»
    La pressione sui timpani scese ancora, stappandoli di netto. Lo sblocco dei portelloni rimbombò nel vano di carico, preceduto da una breve nenia elettronica.
    Girata la propria las-carabina senza imbracciarla, Ièn picchiettò l’indice sul sigillo della sicura. Per sua fortuna era ancora attiva. Farsi partire un colpo accidentale venti, no, dieci secondi prima dello sbarco sarebbe stato alquanto imbarazzante.
    Le urla delle strumentazioni della cabina di pilotaggio si acquietarono, scavalcate dal riattivarsi dell’intervox di bordo.
    «Siamo in ZdS!», annunciò Sahara. «Sbarco in dieci sec!»
    Di nuovo Ièn si sporse in avanti, per quanto le cinture di sicurezza lo trattenessero al sedile e alla fiancata. Oltre lo stretto ingresso che portava nella cabina di pilotaggio, le silhouette dei piloti si muovevano con nervosa rapidità.
    Sahara scambiò un cenno con il suo assistente e poi scattò con la sinistra all’arcata superiore della sua pulsantiera di comando e controllo. Attivò tre interruttori a levetta, uno dopo l’altro. Spinse la cloche in basso e poi tirò brusca una leva scura, infissa vicino al suo sedile.
    I carrelli d’atterraggio della Valkyrie scricchiolarono incontrando il terreno di Or’Olan. Erano, oltre ogni dubbio, oltre il confine dell’Imperium in Frangia Orientale, al di là della riva esterna del Marinska. In pieno territorio T’au.
    Salendo dal basso, il contraccolpo dell’atterraggio attraversò il vano di carico; non si era ancora dissipato quando le luci di segnalazione, messe agli angoli del vano, cambiarono colore.
    Da rosso a blu in un batter d’occhi.
    Afferrata la placca a quattro punti delle cinture di sicurezza, Ièn schiacciò il bottone di rilascio. La loro presa si ritirò di colpo. Era libero.
    Impugnò la las-carabina con la sinistra e scattò al portellone, incassando la testa tra le spalle. Si aggrappò al corrimano di sicurezza per non perdere l’equilibrio e poi mise mano alla rotella del portellone, dandole una spinta con forza. I servo-meccanismi s’innescarono, facendolo scorrere a lato.
    Terra t’au, stesa innanzi.
    Saltò giù dalla Valkyrie e toccò terra con un mezzo tonfo, accusando sulle spalle il peso dello zaino tattico e del paracadute gravitazionale. Sotto le suole c’erano steli d’erba blu scuri, incrostati da una patina di brina argentata.
    Strinse gli occhi. Il visore si polarizzò, difendendoli dall’alba che insorgeva sopra alle nubi. Si risollevò e mosse in diagonale rispetto al velivolo, mettendo qualche metro di distanza tra sé e gli scarichi palpitanti dei suoi jet di manovra.
    C’erano degli xeno-alberi sulla destra, non più di dieci falcate in avanti; si mosse verso di loro, con le orecchie piene dei sussulti del suo equipaggiamento. Tirò una linguetta con la destra, sganciando il paracadute dall’antischegge.
    Il suo tonfo sulla terra semi-congelata fu, a dir poco, liberatorio.
    Un’onda d’urto gli sibilò sopra alla testa, stridendo incontro all’ancoraggio. Aguzza e tagliente, una veloce sagoma d’acciaio marcata di rosso e bronzo virò quasi raso terra, scavalcando in virata stretta la recinzione che delimitava il quadrante Horlandius. Altri due aerei gli sfrecciarono in coda, schiacciando a terra l’erba e facendo stormire i rami degli alberi.
    Il sussulto del muro sonico attraversò il prato un secondo dopo, frustando ancora e ancora i sassolini e i fili viola e rossi che lo circondavano.
    Dovevano essere Garoniani. Ridacchiando tra sé e sé, Ièn poggiò un ginocchio a terra e incassò il corto calcio dell’Accatran contro lo spallaccio sinistro, soppesando l’arma in cerca di una presa che lo facesse sentire a suo agio.
    Lo scanner dell’elmetto stava già scandagliando il circostante, sibilando da una parte all’altra del panorama. Un avviso gli lampeggiò davanti agli occhi; sganciato il bipede d’appoggio dal sotto-canna, Ièn si stese a terra. Infisse le due gambette nel terriccio viola, tra fili d’erba neri e blu, quindi allungò l’indice al grilletto, senza però spingerlo fino in fondo,
    Non c’erano bersagli utili in vista.
    Provò una pressione come test, trovando il grilletto riottoso e rigido. Strano, l’ho rimontato secondo le istruzioni…
    D’istinto fece per spingersi indietro con un colpo di reni, dispiegare l’arma sul fianco e controllarla, ma si fermò prima di farlo. Esporsi così tanto in zona operativa era, stando alle parole del maggiore, chiamarsi addosso tutto il fuoco nemico immaginabile.
    L’avrebbe risolta dopo.
    Un colpetto gli arrivò sulla calotta posteriore dell’elmetto. Zhì l’affiancò alla sua destra, mettendosi in ginocchio e armando il proprio Heridanyus Ex33.092.
    Ièn le restituì la cortesia schioccando le dita e indicandole la recinzione avanti a loro. Non distava più di cinquanta metri, intervallata ogni dieci da un elegante, bronzeo palo curvilineo. In cima montava un diffusore circolare.
    Colto il messaggio, Zhì si tolse dalle spalle lo zainetto tattico e lo posò a terra. Spinse giù le cerniere e ci affondò la mano dentro. Reggendolo per un cinturino in pelle sintetica, tirò fuori un servo-teschio placcato e opaco. Attivò un piccolo interruttore rosso dietro la nuca e lo lanciò verso la recinzione, come avrebbe fatto con un pallone.
    Una, due, tre evoluzioni a mezz’aria e il servo-teschio attivò i suoi micro-reattori gravitazionali per trovare un asse e stabilizzarsi. Rimase a mezz’aria una frazione d’attivo, quindi virò in basso e incrociò in avanti, silenzioso.
    Un fitto scalpiccio si avvicinò a lui, grattando contro il terriccio. Subito dopo aver preso posizione ed essersi inginocchiato con l’Accatran pronto, Aurelios sfoderò un binocolo dalla cintura e lo avvicinò al proprio visore.
    Le lenti passarono da neutre a rosse.
    «È corrente viva. Non ci vogliono, eh?» La maschera e l’elmetto integrale impedivano di vedere il suo viso, ma Ièn era sicuro che stesse sorridendo. Di certo era quel sogghigno stupido che aveva lui, così convinto e sicuro di sé. Non del tutto a torto, per quanto fosse una capra.
    «Onestamente, Aur...» gli rispose Sirio togliendo la sicura al proprio Accatran, «nemmeno io ti vorrei in casa. Phranqo
    «Fottiti.»
    «Dopo di te!»
    Ièn chiuse gli occhi e si maledisse. La sicura, idiota! Come aveva fatto a dimenticarla? Spostò la levetta in alto e si rialzò, ritirando le gambette d’appoggio. Con l’occhio sul puntatore, scandagliò lo spazio oltre la recinzione; figure civili, disarmate e quindi non necessariamente pericolose, si stavano dando alla fuga in ogni direzione. T’au, tarelliani e sectoidi, ad occhio.
    C’erano anche degli umani.
    Sirio schioccò le dita e si mosse in avanti, tallonando il servo-teschio. Lui era già all’altezza della recinzione, e gironzolava attorno uno dei pali. Lo raggiunsero in qualche falcata, schierandosi ai suoi lati.
    Cinguettato un segnale, il servo-teschio orientò uno dei suoi emettitori al palo. C’era una centralina, tonda e dal profilo elegante, agganciata al palo. Zhì raggiunse il servo-teschio e lo fermò con la sinistra, usando la destra per estrarre dalla sua nuca una piastrina appiccicosa dal quale pendeva un singolo, particolare cavetto rettangolare.
    Lo alzò con fare un po’ trionfante prima d’incollare la placca alla centralina. Inserì il cavo in una porta-accesso e tirò fuori il palmare rinforzato. Sullo schermo scorse un nastro di numeri e simboli, che lei cominciò a selezionare con l’indice.
    «Sia grazie all’Omnissiah per l’Universalìs Serial Bus...»
    Certo, ma non era strano che l’informatica T’au usasse congegni simili? Ah, beh. Erano domande da gente più in alto di lui.
    «E… termina processo. Ah-ah!»
    Gli occhi del servo-teschio brillarono di verde, poi una scarica attraversò la centralina esterna. La corrente della recinzione si scaricò a terra, serpeggiando tra l’erba e i ciottoli cristallini. «Questa bastarda tornerà attiva tra poco», avvisò Zhì, rimettendosi in spalle lo zaino.
    «Fammi indovinare, il tempo di un riavvio?»
    Rispose a Sirio con un cenno della testa. «Il tempo di un riavvio.»
    «Ci basterà.»
    Riposto l’Accatran dietro la schiena, Sirio piegò le ginocchia e unì le mani a formare un gradino. Colto il segnale, Ièn arretrò d’un paio di passi per avere un po’ di rincorsa e poi si slanciò in avanti, usando il suo appoggio per spingersi in cima alla recinzione. Si torse per scavalcarla e, sfruttando lo stesso impeto, si lasciò cadere dall’altra parte.
    L’urto gli batté sulle rotule, strappandogli un mezzo grugnito. Zhì lo affianco subito dopo, mettendosi a scaletta per aiutarlo a sostenere Sirio. Aurelios sopraggiunse a passo sostenuto, tallonato dal resto della squadra.
    Balzò di netto oltre la recinzione, atterrando con impeto un paio di metri oltre la loro posizione. Sirio allargò le braccia.
    «Oy, Capitan Imperium! Guarda che così ti fai ammazzare.»
    Non aveva tutti i torti. Tornato in ginocchio, Ièn accomodò il calcio contro lo spallaccio e batté la zona che si apriva davanti a loro. L’esplosione aveva sparpagliato frammenti e fumi, ma nessuno era ancora uscito dagli acquartieramenti per sparargli addosso.
    «Cyrene, hai il vox?»
    «Certo», borbottò lei, come se punta. «Perché non dovrei?»
    «Rami», commentò Ièn, falciando l’area da un angolo all’altro. Aurelios e Sirio quasi si piegarono in avanti con una risata, per poi tornare abbastanza professionali da avanzare e assumere un buon angolo di tiro.
    «Non ho capito, ma facciamo che ti ignoro», disse lei estraendo la cornetta da un taschino della giacca antischegge. «Valor Com, qui Vang-Primus. Siamo fuori dalla ZdS e in AIP.»
    Della statica esordì in risposta.
    «Valor-Com, qui Vang-Primus. Siamo fuori dalla ZdS...»
    «Confermo la ricezione, Vang-Primus», le replicò la voce del maggiore Tinysia. «Siete autorizzati a procedere.»
    Aurelios annuì, tirando giù lo scalda-collo. Un sorriso lupesco gli curvava le labbra. «Avete sentito la signora, ragazzi. Guadagniamoci lo stipendio.»


    L'angolino delle Trivia

    -Ièn Cariad è naturalmente mancino. La sua las-carabina è adattata per venire incontro a questo dettaglio.
    -Sepherus Prime è una citazione a Dawn of War; i Kasrkin, nelle loro unit quotes, ogni tanto citano questo posto senza dare altre specifiche.
    -La questione del ramo è un rimando all'originale BoEB, scritto da me tanti anni fa proprio su questo forum.
    -Universalìs Serial Bus... 40 millenni avanti a noi, e l'USB rimane la vera via di trasmissione dati.
    -Phranqo è una menzione al rispettabilissimo Doc, lui sa chi è.
    -Quattro Scatole perché Zhì è molto bassa.


    Edited by dany the writer - 15/3/2023, 17:52
     
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    Molto molto bello!! :clap: :clap:
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    Grazie per il commento! Allora, sì, c'è un continuo. Ci vorrà un po' di pazienza, scribacchio lentamente quando ho tempo! :(
     
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    Si continua! Questo pezzo prosegue le prime azioni dello sbarco imperiale ad Or'Olan attraverso gli occhi di Ièn.

    II




    Ièn arretrò, l’indice già pronto sulla scocca del grilletto. Non c’erano ostili nelle immediate vicinanze, ma sarebbero arrivati a breve. Forse non veri e propri Guerrieri del Fuoco, ma elementi del dettaglio di sicurezza o qualche unità delle forze locali.
    Un proiettile era sempre un proiettile, a dispetto delle sue origini.
    Restarsene lì allo scoperto, fermi come idioti, era una pessima idea.
    Aurelios doveva essere dello stesso avviso, poiché dopo essersi guardato attorno, disegnò uno stretto cerchio con il pugno chiuso, tenuto presso la spalla destra; muoversi subito, raduno dietro una copertura stabile o un riparo.
    Ièn si tuffò in avanti, prendendo la testa della squadra. L’avrebbero coperto in caso d’incontro con unità ostili, fornendo fuoco di supporto. Il suolo crepitò sotto i suoi stivali, lagnando scricchiolii di ghiaino ed erba intirizzita dalla brina.
    Un tuono rotolò dall’interno dell’ancoraggio.
    Superato lo spazio vuoto subito alle spalle della recinzione, l’area era esposta su tre lati e scoperta. Più in avanti, i cartelloni segna-miglia delle piste dell’Horlandius si susseguivano come tanti birilli impilati in diagonale.
    Procedendo in quella direzione sarebbero rimasti allo scoperto.
    A sinistra c’era un muraglione alto e bombato e dagli angoli smussati. Si allungava verso le piste, con linee e linee di finestrelle circolari lungo i suoi piani. C’erano diverse porte circolari lungo il suo profilo, tutte fornite con maniglioni antipanico. Dovevano essere uscite d’emergenza, da impiegare in caso d’incendio o terremoto.
    Se le avessero aperte, avrebbero potuto fungere da ripari d’emergenza. Poteva anche esporli al fuoco di eventuali tiratori nascosti all’interno, ammesso che ce ne fossero.
    Orientandosi a destra, Ièn aggrottò la fronte. La parete di fondo di un largo hangar si parava bassa e bronzea, sormontata in cima da uno stemma del Sept T’au di Or’Olan. Ai suoi piedi c’era un rostro di trasformatori di potenza. Erano alti e ampi abbastanza.
    Batté la mano sullo spallaccio e trasmise un ping alla squadra attraverso il sistema di comunicazioni wire-less integrato nel suo elmetto. Abbassò l’Accatran e costeggiò l’interno del rostro fino all’altra estremità, occhieggiando attorno ogni due passi. Prese il controllo dell’angolo e ci si appoggiò contro, accusando sulle spalle il sussulto del suo equipaggiamento.
    L’aggirò, spianando l’arma in un’arcata rapida e stretta. Davanti a sé trovò un torrente di lunghi cavi, fissati a terra da larghi archi di fascine sintetiche. Nessun rischio attivo. Zhì lo raggiunse, battendogli un colpetto sullo spallaccio. Certo di averla a coprirlo, Ièn si sporse di nuovo. Rientrò di colpo, accese il puntatore dell’arma e con la destra alzò due dita. Zhì lo scavalcò, prendendo a sua volta il controllo dell’angolo.
    Si separò da lei per raggiungere l’altra estremità e spinse il calcio dell’arma in posizione, accostando l’occhio al mirino. Delle figure si muovevano, molto più in avanti a nord. Stavano scappando verso un terminal d’autobus, coperto da un tetto dal profilo curvilineo.
    Seguendo la loro fuga, Ièn tracciò una breve linea con la canna dell’ Accatran. A destra del terminal, una scala conduceva sottoterra, verso una delle vecchie linee della rete metropolitana.
    Horlandiskaya NESTOP-2, secondo le mappe dei Garoniani. Quelli erano civili. Autisti, personale di supporto e tecnici dell’aereo ancoraggio.
    Si ritrasse dietro l’angolo dal quale era venuto. Tornò da Zhì, tirandole lo zaino per ricordarle della sua posizione; lei arretrò in fluidità, continuando nel mentre a coprirlo. Ricevuto da lei un segnale di via libera, Ièn si girò verso la squadra. Tamburellò tre volte con il pugno sul proprio petto, poi lampeggiò un pollice alzato.
    Via libera, potete avanzare.
    S’inginocchiò a due passi dal bordo destro e incassò il calcio della carabina contro lo spallaccio, allentando subito la presa sul grilletto. I bulloni magnetici si sobbarcarono una parte del peso dell’arma, alleggerendogli le braccia.
    Altri scoppi risuonarono in lontananza. Erano delle esplosioni, non degli spari d’arma da fuoco a tiro ravvicinato. Erano state almeno tre.
    Lo scalpiccio prodotto dal resto della squadra gli raggiunse alcuni secondi dopo, scavalcando i loro rimbombi lontani. I suoi compagni si assestarono dietro ai cassoni dei trasformatori, schivando le ghiere e i varchi per non offrire bersagli utili, tra sciabordii di stivali che grattavano sul ghiaino e i borbottii degli zaini.
    Aurelios e Sirio sostituirono Zhì nel mantenere sotto tiro l’area che fronteggiava alle centraline; con loro a coprirla, lei si ritirò e, trovato un pezzo di trasformatore in grado di farle da scudo, fuori il telecomando del servo-teschio drone.
    Schiacciò la runa del richiamo e il cyber-famiglio impennò sopra alla recinzione. Una luce blu s’infranse contro la cima della rete, scavandoci un mezzo cratere. Due colpi arrivarono in successione, mancando il servo-teschio mentre discendeva.
    «Contatto!», esclamò Ièn, lasciando il suo posto a Taril e Zhì per raggiungere il capo opposto della linea dei trasformatori. «Nord, tiro dritto!»
    S’inginocchiò, spingendo il calcio della las-carabina contro la spalla. Uno scalpiccio ruzzolò alle sue spalle e poi una mano gli toccò la spalla.
    «Hai una visuale?»
    Aurelios gli tamburellò due volte sullo spallaccio sinistro. S’era imposto sulle ghiere di mezzo tra un cassone e l’altro, appoggiando l’arma e allineando l’occhio al mirino. Spostò il suo peso da un piede all’altro, ancora con la mano che gli premeva sulla spalla.
    «Ventitré e venti, nord-est.»
    Ièn annuì, più a sé stesso che alle istruzioni del sergente. Lasciò scorrere un mezzo secondo, salvando con alcuni cenni d’occhio la direzione che gli era stata detta e poi si sporse. Il suo indice saettò al grilletto, tirandolo una volta.
    Erano dove li aveva detti Aurelios, e più scoperti del necessario. Tre figure, tutte armate di leggere carabine ad impulsi.
    Erano Zoccoli.
    Lo schiocco della las-carabina gli rimbalzò nei timpani, seguito dallo scoppiare di una luce rossa contro il tronco del T’au più a sinistra. I suoi compagni sussultarono e risposero al fuoco con una breve, ma fitta scarica d’impulsi. Al vederli imbracciare le armi, Ièn si ritrasse.
    I fischi dei loro colpi gli sfrecciarono accanto. Trapanarono dei netti fori circolari nella recinzione, per poi perdersi in lontananza, nella piana della Zona Demilitarizzata. Aurelios aprì il fuoco per intercettarli, rilasciando tre spari ravvicinati. Corti lampi rossi brillarono sui cassoni, lampeggiandogli vicino. Degli spari provennero in risposta, scalfendo il tetto dei trasformatori. Una colata di scintille si spense a terra e Aurelios si spostò al coperto.
    «Fanculo, fottuti soldatini del domusdie...», borbottò Sirio, sostituendolo nel fare fuoco di soppressione. I suoi spari cadenzarono i secondi che servirono ad Aurelios per mettersi al riparo.
    Il loro volume di fuoco scese, riducendosi a sparacchiate imprecise. Scoprendosi con un colpo di reni, Ièn riportò il puntatore in linea con la loro posizione. Ora arretravano velocemente, trascinando il ferito per la collottola. Impressa sulla sua armatura toracica c’era una netta macchia annerita. Da lì colavano piccoli rivoli di sangue violetto.
    «Due in piedi, uno ferito», disse Aurelios, tornando a fare fuoco. Uno dei suoi spari sfiorò i due, esplodendo sull’asfalto della pista. «Bel colpo, Libri!»
    «Nah.» Abbracciò il grilletto con il dito, senza spingerlo fino in fondo. Un controllo al display dei colpi e poi riallineò l’occhio al mirino. Uno dei due T’au aveva alzato la carabina e stava sparando a zero. Scomparve, con il compagno e il ferito, dietro un furgone ruotato. Ièn staccò l’indice dalla scocca del grilletto. «Non l’ho terminato.»
    E ora la loro posizione era compromessa.
    Le eco degli spari si dispersero. Obbediente e silenzioso, il cyber-famiglio fluttuò accanto a Zhì, scendendo di quota. Dopo un’altra escursione con il colpo in canna, Ièn si appoggiò con la schiena al trasformatore e sollevò un pollice.
    «Via libera», confermò Sirio, scattando basso e rapido da un membro all’altro della squadra. «Il punto è nostro.»
    Annuendo a quella conferma, Ièn allungò un’occhiata al tablet da polso. Nell’arco di tre minuti, era sbarcato in territorio T’au, aveva scavalcato una recinzione, tecnicamente invaso per primo l’aereo ancoraggio e inferto il primo colpo noto all’Occupante Xeno.
    Non male per uno studente di Ius Imperialìs...
    Si volse indietro per verificare dove si trovasse la loro cannoniera. Le pulsazioni dei suoi turbo-jet arrivavano fin lì, superando la rete con basse e dense zaffate d’aria calda, impestata dal Promethium esausto.
    Sahara non si era ancora rimessa in volo.
    Non averla a svolazzare sopra alle loro teste era un po’ sconfortante, perché se i T’au fossero usciti allo scoperto con blindati o degli skimmer, e quella probabilità ora non era remota considerando i superstiti della sparatoria, la squadra avrebbe avuto qualche problema a contrastarli con le armi di supporto che aveva e, al più, gli anti-carro di Aurelios.
    Gli sovvenne uno sbuffo di risata. Sopra al muso, con una faccina sorridente disegnata a mano come puntino della i, qualche simpaticone aveva scritto “Garonbass Taxìst”. Poco il servizio di bordo, ma buona qualità per il decollo e l’atterraggio.
    Voto finale? Tre stelle su sei e una recensione positiva su ZhaoCyao Advisores. L’avrebbe di sicuro consigliato al suo peggior nemico.
    Un boato più forte dei suoi predecessori rimbombò da nord-ovest, ruzzolando fin giù ai trasformatori.
    Si torna al lavoro...
    Il cursore sullo HUD palpitò in alto e Ièn l’assecondò; alzò lo sguardo verso il segnale, trovando una colonna di fumo che sgomitava tumultuosa verso il cielo. Abbassò gli occhialoni sul visore, li accese con un colpetto e poi sbatté le palpebre, concentrandosi sul fissare la funzione d’ingrandimento. Il cogitator interno recepì il segnale e incrementò il focus sulla colonna, avvicinandolo al punto da fargli vedere quanto fosse densa e nera.
    Era un fumo oleoso, da incendio chimico.
    Con la colonna alle proprie spalle, un aereo d’attacco al suolo Garoniano tagliò attraverso il suo campo visivo. La sua livrea era blu e grigio e volava appena inclinato sul suo asse. L’ululato della sua crociera supersonica precedette una fitta, ma breve serie di scoppi più addentro il quadrante. Aveva le ali del tutto sguarnite.
    Sei già di rientro alla base, amico? Pit-stop a Chērnikov?
    Ritrasse l’ingrandimento e mise il sistema in stand-by con un picchiettio sulla runa d’attivazione.
    «OK, la posizione è compromessa. Ci muoviamo subito», disse Aurelios, tirando con un bello strattone la funicella del paracadute gravitazionale. Il tonfo prodotto da quell’arnese che cadeva a terra tamburellò uguale a quello di uno sparo. «Formazione Gemini Hastata, gente. Manteniamo le comunicazioni tramite ping
    «Buona.» A sua volta, Sirio si sbarazzò del paracadute. Lo accantonò vicino a quello di Aurelios, al quale poi si rivolse mentre s’inginocchiava. «Prendi tu il punto?»
    «Sì.» Dal ventre dell’aereo si liberò una dozzina di flares. Brillarono a mezz’aria per alcuni attimi, cadendo incontro al suolo intirizzito. «Apriamo un varco nella rete e teniamo posizione fino all’arrivo dello Sky-Talon.»
    Due dardi solcarono il cielo. Azzurrine scie di propulsione brillavano alle loro spalle, disperdendo scintille brillanti. Il più avanzato si tuffò sui flare, piovendo a terra. Lo scoppio sollevò un geyser di terriccio bruciato. Il piovigginare a terra dei frammenti continuò per alcuni secondi.
    L’altro missile continuò il proprio inseguimento, cercando di guadagnare quota sull’aereo Garoniano. Un razzo intercettore gli tagliò la strada, raggiungendolo con un gran fischio sul fianco. L’esplosione risuonò a cento, forse centoventi metri dal suolo e sfiammò rapida.
    «Vang-Primus, Vang-Primus», gracidò il Vox di Cyrene. Aurelios si mosse per affiancare l’operatrice, sganciando la cornetta dal suo zaino. «Qui Sahara. Rispondete, passo.»
    «Vang-Primus qui, avanti tutta.»
    «Armi AA portatili. Abbiamo una posizione preliminare.»
    «Manda un ping
    Sirio alzò gli occhi. «Non possiamo fare arrivare i ‘Talon se i Blu hanno i lanciarazzi...»
    «E rischiare i mezzi finché gli edifici non sono sicuri?», Aurelios si tolse dalle spalle una lunga sacca verde scuro.
    «Perché, rischiare noi contro un Devilfish è tanto meglio?»
    «Costiamo meno, dicono.»
    Sogghignando dietro la copertura dello scalda-collo verde scuro, Ièn mimò un veloce saluto. Ad un altro grandioso giorno nella Guardia Imperiale.
    La Valkyrie di Sahara si staccò da terra, recuperando quota con gradualità. Fatto un cenno d’assenso al vederla, Sirio si strinse nelle spalle. «Dubito sia vero, phràs.»
    Non gli servivano istruzioni in merito; Ièn abbassò la propria arma perché non incrociasse i movimenti dei suoi compagni di squadra; quindi, staccò l’indice dal grilletto e l’appoggiò al lato dell’impugnatura. Con la destra si allungò alla sacca, spingendo in basso le sue cerniere. Afferrò una tracolla nera e la tirò a sé, estraendo un corto e compatto lanciarazzi anticarro, tipo spara-e-dimentica. Sul fianco superiore, sotto alla linea del puntatore digitale, la nomenclatura Kometar-Mod.220 risaltava in caratteri bruniti.
    Se lo mise di traverso in spalla, spingendo la bocca da fuoco verso l’alto.
    Aurelios rovistò a piene mani nella sacca, strappandole una scatola metallica, corta e compatta. Gliela spinse incontro e Ièn la prese per la manichetta di sicurezza. Strappò un adesivo di plastica da un bozzo in rilievo sul dorso della cassetta, scoprendo alla luce dei due soli locali un bullone magnetico. Lo accostò a quelli infissi sulla sua armatura, verso il fianco.
    «Phranko, non li sprecare.»
    «Ah-aha.»
    Il kometar non era potente come il classicissimo Pilum o il più gladiano Apripistar, ma era un compagno affidabile. La poca gittata rispetto ai suoi rivali era problematica, ma c’erano pochi ostacoli che un razzo transuranico, capace all’occorrenza d’ospitare una munizione termonucleare, non potesse mettere a tacere per bene.
    E poi era un ottimo repellente anti-T’au.
    Impostò la sicura spingendo il blocco alla bocca di fuoco in basso e poi prese un altro lanciatore, assieme ad una seconda scatola di munizioni. Passò tutto a Zhì, che prese a borbottare qualcosa di vago e ovattato circa la quantità di robaccia che doveva tirarsi dietro.
    «Poche lamentele, tu», la riprese Sirio. Ièn lo scorse guardare la mappa del suo tablet da polso. Farlo non era una ragione per dubitare di lui; lo stress di un’azione militare poteva causare qualche vuoto di memoria. Fare e rifare controlli era l’unico antidoto.
    Zhì si sistemò addosso il nuovo equipaggiamento e avvitò una di quelle granate termonucleari. Dopo l’ultimo giro spinse la testata contro il fusto e uno schioccò rimbombò secco. Il glifo Mechanicum della radiazione passò da nero ad una tinta gialla sbiadita.
    Armato, ma non innescato.
    «Sirio, chi ti prendi?»
    «Libri, Zhì, Taril e Yan.»
    «Andata», fu la risposta di Aurelios, impegnato a pulire la lente del suo mirino. «Zhayn resta qui con me, allora.»
    «Yup»
    «Sentito? Mettiti all’opera.»
    Sganciatosi dal riparo, Zhayn superò l’angolo d’un passo e, dando un colpetto a Taril, si sdraiò con il ventre a terra. Infisse il treppiede d’appoggio della sua mitragliatrice d’assalto modello Draken Gladius Pattern Mod.40.900 kal.50 e tirò la leva di sblocco.
    Un secondo dopo, Taril lo raggiunse; s’inginocchiò all’altezza delle sue rotelle, spianando l’Accatran e posando a terra una cassetta di munizioni. Se qualcosa, o qualcuno, fosse uscito allo scoperto per intercettarli all’imboccatura del passaggio tra i due edifici si sarebbe preso sui denti una raffica di calibri transuranici blindati.
    La colazione dei campioni.
    Schioccate le dita, Sirio si staccò dalla fila dei trasformatori e Ièn lo tallonò. Attese un suo cenno per superarlo, prendendo la testa della formazione. Tagliarono in diagonale fino alla parete di fondo dell’hangar, costeggiandola a passi rapidi.
    Altre esplosioni si susseguirono a poca distanza, squassando la parete con forti tremori. In quello stesso momento, dei ruggiti supersonici sfrecciarono sopra alle loro teste, virando verso Chērnikov. Erano due? Tre?
    Seguire la parete lo condusse ad una porta d’emergenza. Segnalò alla squadra di rallentare e prendere posizione, lasciando la via aperta a Sirio. Quest’ultimo gli passò accanto, senza tagliare attraverso il suo profilo di tiro, e prese il controllo dell’altro angolo. Vedendo sé stesso riflesso sul suo visore, Ièn si accorse che stava lottando per non ridere tra sé e sé.
    Calato l’Accatran, Sirio vibrò un pugno al maniglione antipanico. La sbarra cedette e scese verso il basso, ma la porta rimase chiusa. Una spia rossa s’accese sul display in alto a sinistra, accompagnata da un breve lamento elettronico.
    «C’è un altro accesso?», chiese ritraendo la mano.
    «Non su questo lato.»
    «Potrebbero averla bloccata di proposito...»
    E se fosse stato così, avrebbero potuto essere subito oltre la soglia. Ripulire un interno da un nemico trincerato, organizzato e pronto allo scontro era un brutto affare. Costava tempo, munizioni e sangue. Risorse che non avevano in chissà quale quantità.
    Alzata la testa all’interruttore, Sirio arretrò d’un passo. «Zhì, usa il jack. Irruzione controllata.»
    Stringendosi di più alla parete per farle spazio, Ièn tese l’orecchio agli scoppi. Per alcuni secondi s’erano avvicinati alla loro zona, come disegnando una linea attraverso Or’Olan, ma ora si stavano allontanando e spaziando nel tempo.
    Scivolata dietro al sergente veterano, Zhì richiamò il suo cyber-famiglio con il telecomando. Collegò uno cavetto con prolunga nella sua nuca e lo indirizzò al display; aperta la bocca, il servo-teschio produsse uno spinotto d’ingresso, nero e appuntito. Lo inserì in una porta-accesso a destra del display e Zhì sfoderò il suo palmare di controllo.
    «Sbloccata.» La luce era rimasta rossa.
    Come sentì quelle parole, Sirio si raddrizzò un po’. Tracciò una linea con indice e medio davanti a sé, poi strinse la mano a pugno e la batté tre volte in rapida successione sul fianco. Yan aprì il cassetto del lanciagranate e ci spinse dentro un’abbagliante. Lo sigillò con un colpo di mano e si portò accanto a Ièn, curvo e pronto.
    Sbattuto il pugno contro la sbarra, Sirio spinse la porta all’interno. Yan alzò l’Accatran e tirò il secondo grilletto, sparando la granata in fondo al corridoio d’uscita. Esplose mentre si stava ritirando, scatenando un lampo intenso e un boato di schiacciasassi. Ièn accese il visore dell’elmetto e s’infilò nella breccia; superò la soglia con una falcata e spianò l’arma, tenendosi pronto a sparare.
    Davanti a lui, un corridoio industriale ma pulito portava, in fondo, ad una scalinata telescopica e uno squarcio di sala. C’era un distributore di bibite sulla sinistra. Ci si riparò dietro, scoprendosi per tenere sotto tiro il percorso.
    Passò al termico, mandando un ping d’avviso alla squadra. Il mondo perse i suoi colori, scavalcati da tinte rosse e violette in contrasto su di uno sfondo blu tiepido.
    Tre figure, al di là della parete, rannicchiate dietro qualcosa. Potevano essere ostili.
    Indicò che la via non era libera e avanzò nella loro direzione, affiancandosi alla parete. Sì, c’era una porta. Girò la maniglia per sbloccarla e poi la spinse in avanti con un colpo della sinistra.



    Angolo delle Triviaaaah

    Zoccoli; dispregiativo per indicare dei T'au.

    ZhaoCyao Advisores: Dai, su; l'avete capito che è TripAdvisor.

    Ping: brevi comunicazioni wireless, di solito testuali.

    Ièn è uno studente di giurisprudenza!


    Edited by dany the writer - 9/3/2023, 14:24
     
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    Le Prime Ore
    Capitano Tariq Ben Elyssa, 164esimo EDT
    I



    Or’Olan ‘Blast
    Or’Olan Aereo Ancoraggio
    M42.025, Terzo di Gennaio


    «Vang-Primus è oltre il perimetro», disse Mâhrat. «Riportano uno scontro a fuoco con il nemico. Unità locali.»
    Tariq s’accigliò. Accedette al Comvisual del suo HUD e lo aprì occhieggiando a destra. Un riquadro audio-video, inframezzato da attimi di buffering e linee di statica, gli scivolò davanti, ancorandosi al di sotto della linea dell’orizzonte. La visuale veniva dagli auspex di Vang-Primus e riprendeva la squadra di quei due che ingaggiava una sparatoria con degli ostili, purtroppo fuori schermo.
    Un riscontro visivo sarebbe stato gradito, ma poteva già lavorare con quei dettagli preliminari.
    I lampi delle armi laser e le scintille di quelle ad impulsi sfiammavano brillanti, susseguendosi rapide le une sulle altre. Eccoli, i primi spari ravvicinati dell’Operazione Militare Speciale.
    «Hanno comunicato richieste di diretta assistenza?»
    «No, signore. Solo il primo contatto.»
    Messa una mano sul poggiatesta dello schienale di Mâhrat, Tariq soppresse un sospiro stanco. Ma certo. Chi, se non gli scappati di casa capitanati da Markhairena e Quarta?
    Non per interesse personale, ma solo per mero scrupolo lavorativo, aumentò l’ingrandimento visivo sulla squadra. Cariad, il Piccolo Socialista Universitario, si sporse da dietro l’angolo e prese la mira. Rilasciò un solo sparo e si ritirò al coperto, portando l’arma in sicurezza.
    «Due in piedi, uno ferito!» gracidarono le loro voci sul canale generale del Battaglione. «Bel colpo, Libri!»
    «Nah. Non l’ho terminato.»
    Ridotto il video a semplice icona con un battito di ciglia, Tariq si riscosse e strinse una delle maniglie di sicurezza per non cadere. Be’, a loro andava l’onore del primo sangue. Ora devo dei soldi al Maggiore. Non me la farà passare liscia...
    «Procediamo secondo programma.»
    Il pilota gli rivolse un cenno d’assenso e tornò al suo lavoro sbloccando uno degli interruttori superiori. S’assestò meglio contro lo schienale, lasciando al co-pilota l’incarico della navigazione. «Vang-Secundus, qui. Status nominale. Ripeto, Vang-Secundus, status nominale. Banchetto, rispondete.»
    «Ricevuto lo status nominale, Vang-Secundus.» Dietro agli occhialoni tattici, il visore integrale e l’elmetto, Tariq inarcò un sopracciglio. Quelli in sottofondo erano scoppi? Stretta una mano alla tracolla del suo las-fucile, Tariq schioccò la lingua. Sì, sì. Erano scoppi. «Idem-Text da Banchetto. Potete procedere sugli obbiettivi.»
    Banchetto stava gestendo tutta l’offensiva oltre la Zona Demilitarizzata, quindi potevano essere spari imperiali come una risposta dei T’au.
    «Ricevuto. Siamo in fase d’atterraggio.» Mâhrat disattivò il canale aperto girando una piccola manopola e tornò alla cloche di navigazione.
    Il suo co-pilota riprese il controllo delle armi di bordo, spostandosi con un colpetto di reni alle stazioni cogitator che gestivano i las-cannoni alari e i baccelli dei missili aria-terra e aria-aria. Erano decollati a pieno carico, e i magazzini a Chērnikov erano stati stoccati fino alla cima nei mesi precedenti. Il GlaGaron non era intenzionato a rivivere il Triadryom.
    «Capitano, siamo in ZdS. Sbarco in dieci sec
    Tariq si sganciò dalla maniglia e attraversò lo stretto corridoio che separava la cabina di pilotaggio dal vano di carico.
    Al suo arrivo, la squadra s’irrigidì. Si accostò al portellone di sbarco, stringendosi a una delle maniglie di sicurezza. Riferì alla squadra quel che il pilota gli aveva appena comunicato, osservando le reazioni dei suoi componenti al sapere che lo sbarco era prossimo. S’irrigidirono tutti, quasi fossero un solo corpo, ma per un momento.
    Rimasero chini in avanti sotto gli zaini e i grossi paracaduti gravitazionali, scoccando occhiate rapide ai portelloni di sbarco. La pressione data dal volo stava scendendo.
    Tra loro c’erano nuove e vecchie facce. Alcuni avevano militato sotto i suoi comandi nella Crociata, altri erano appena usciti dagli addestramenti di Camp Martes e l’Operazione Militare Speciale in Frangia Orientale era la loro prima esperienza di guerra. Chissà che effetto doveva avere su di un ruolino di servizio ancora fresco di stampa...
    L’orizzonte al di là degli oblò calava di secondo in secondo, allineandosi al terreno di Or’Olan.
    «Kedyr, Kedyr, prendi posizione!», scandì una voce garoniana sul Vox generale. «Lakedon e Spartye in arrivo, ETA zero due zero zero su ZdS.»
    «Abbiamo conferma di unità di Alleati già nel perimetro dell’obbiettivo. Globale; controllate i vostri angoli di tiro, non scavalcatevi.»
    In sottofondo a quegli scambi, tutti appena distorti da una trama di statica e di segnali acustici d’apertura e chiusura canale, c’erano scoppi e sospiri di missili e tamburi in ricarica.
    «Ricevuto, Banchetto. Alle unità in zona, Attiva Attenzione sugli auspex. Evitiamo situazioni Cardinal-super-Cardinal
    «Vang-Primus, qui. Confermiamo unità in avanzata, oltre il perimetro. Attenzione Attiva su tutti gli auspex, evitare Cardinal-super-Cardinal, ricevuto.»
    «ETA del prossimo stormo su ZdS, zero tre punto due-zero. Prendete posizione», comunicò Banchetto, «ma avanzate limitate fino al loro arrivo.»
    Tariq annuì piano e fece segno al suo secondo di ridurre il volume. Ascoltare era bene, farsi troppe paranoie prima di sbarcare poteva portare male. Si volse di ritorno al portellone, strattonando la tracolla del las-fucile per fare ruotare i bulloni magnetici. Sparse per quella maledetta piana scoperta c’erano chiazze d’erba nera e blu, sparse tra pozzanghere ghiacciate e radi xeno-alberi.
    Ai margini della visuale permessa dall’oblò, due cannoniere Valkyrie stavano a loro volta scendendo di quota. Erano Carrier Vang Septima e Carrier Vang-Optavia e zaffate di terra cristallina erano spazzate via dall’approssimarsi dei loro turbo-jet.
    Un Vendetta le scavalcò di netto a gran crociera, inclinandosi in mezza manovra per rilasciare un’obliqua mandata di flares e fumogeni davanti ai loro siti di sbarco.
    Nemmeno tre secondi dopo, un helo d’assalto Skay-hook virò sopra ai fumi. Le sue armi di bordo s’illuminarono per alcuni secondi, lampeggiando una raffica di bagliori rossi, gialli e arancioni lungo le fiancate.
    Un sussulto sgorgò da sotto il pavimento, risalendo le paratie fino alle luci di posizione. Erano appena diventate blu.
    Attraverso i portelloni corse un sospiro metallico, il suono delle loro serrature che venivano sbloccate in remoto. Data al maniglione una solida spinta, Tariq fece scorrere la portiera blindata fino in fondo e tirò il freno di blocco.
    Strinse gli occhi all’abbaglio dell’alba aliena e balzò in avanti. Il vuoto sotto i suoi piedi durò meno di un respiro.
    Era a terra. Recuperò il fiato ed espirò dal naso, sentendo il suo stesso fiato ristagnare contro la stoffa dello scalda-collo. Nessuna raffica di soppressione a mezz’aria, nessuna risposta della contraerea statica al loro arrivo.
    Stava davvero andando così bene?
    Dardeggiò in avanti, zigzagando per ridurre la sua esposizione a possibili tiratori T’au. Trovato un albero, ci s’inginocchiò dietro e schiacciò il palmo della sinistra sull’erba intirizzita, fermandosi subito dal capitombolare in avanti.
    Spianò il suo Kantrael Mg XII, sganciandolo dai bulloni magnetici dell’armatura antischegge. Accese il mirino con un tocco dell’indice e il suo cogitator interno s’agganciò con un bip allo HUD dell’elmetto, proiettandogli un puntatore davanti agli occhi. Davanti c’era un lungo tratto integro della recinzione elettrificata e, al di là, l’angolo di un largo hangar. Alzò lo sguardo, prendendo nota della distanza che lo separava da Vang-Primus.
    Sessantacinque, forse settanta metri. In linea d’aria era un breve scatto. Non c’erano motivi di raggrupparsi presso la loro posizione, però. Scattare verso di loro avrebbe voluto dire rimanere allo scoperto per più tempo del necessario.
    Si riscosse in piedi, mantenendosi presso il fianco dell’albero. Le zaffate spinte dai turbo-jet di Carrier Vang-Secundus gli spinsero il suo aroma addosso. Sapeva di menta e di pino, ma anche di ferro ossidato e salvia.
    Scosse la testa per allontanarlo. Incastrato il calcio del las-fucile sotto l’ascella, Tariq tirò la cordicella per sciogliere le bretelle del paracadute gravitazionale e scrollò le spalle, lasciando che quel dannato affare cadesse a terra. Portò la mano ora libera all’astina del lanciagranate sotto-canna, disinnescò la sicura con un tocco dell’indice e agganciò il grilletto.
    Tutto nominale.
    Lampeggiò la mano aperta alla squadra, che lo tallonava nello sbarco, per chiuderla di colpo contro la gamba. Il fianco destro scattò chino e rapido, portandosi a ridosso della sua posizione in poche, decise falcate; approfittando del fogliame, Aman si stese pancia a terra e sistemò in posizione la sua las-mitragliatrice, conficcando il bipede nel terreno congelato. Dopo aver sbloccato la cella energetica perché non limitasse il suo eventuale fuoco di soppressione, il mitragliere comunicò a gesti che era pronto a fare fuoco.
    Ottimo, ma limitato considerando la recinzione davanti a loro. Lasciando il suo posto a Vranya, il suo secondo e operatore-vox, Tariq prese posizione vicino Aman e allineò il proprio Kantrael all’angolo tenuto sotto scacco dalla mitragliatrice. Con la coda dell’occhio prese nota delle distanti silhouette di Vang-Primus, in movimento dalla linea dei trasformatori.
    Erano solo cinque, però. Si erano divisi. Dov’era andata l’altra metà della hastata? Maledetti ragazzini, perché non sapevano seguire le procedure? Li avrebbe ripresi in seguito, a cose fatte e finite. Per ora la sua squadra aveva un lavoro da svolgere.
    «Status, Vranya.»
    Abbassandosi dietro al tronco, l’operatore vox sfoderò la cornetta dal taschino cucito sull’antischegge e abbassò gli occhi al tablet cucito sotto il polso. Trovò il canale generale dell’operazione e ci si agganciò, filtrando a testa bassa le comunicazioni in entrata e in uscita.
    «Stiamo procedendo.»
    Bene. «Resistenze?»
    «Aspetti, ho una comunicazione da Vang-Primus...»
    «Passamela.»
    Sul suo HUD si attivò un’icona. «Vang-Primus, qui Vang-Secundus. Status
    «Vang-Secundus, qui Primus. Confermo ricezione positiva, procedo a...»
    «Taglia corto.»
    «Siamo stati ingaggiati da una pattuglia delle forze locali. Or’Olan Cadre. Un ferito, due ancora in piedi e battuti in ritirata.»
    Avrebbero dovuto finirli sul momento. «Positivo. Altro?»
    «Sub-Hastata Due riporta dei civili all’interno dell’hangar.»
    Tariq storse la bocca. Quello poteva essere un piccolo problema. «Numero, tipo e condizioni.»
    «Tre. Due donne, uno xenos. Genus Sectoide. Cariad li tiene in custodia all’interno, primo piano dall’accesso d’emergenza posteriore.»
    «Ci muoviamo per rinforzare la loro posizione, allora. Circa la recinzione?»
    «Stima, trenta secondi al suo riavvio. Tipo ad alto voltaggio.»
    Accantonando la conversazione con un colpo d’occhio, Tariq si rivolse con un cenno della testa allo specialista armi pesanti della sua squadra. Colto il suo segnale, Kyaìvan venne in avanti e si accovacciò presso l’albero. Con sé aveva sia un fucile al plasma che un las-cutter portatile.
    Mimato il gesto di una forbice, Tariq evidenziò con lo HUD un tratto della recinzione e gliela comunicò via un ping.
    Lo specialista tamburellò due volte con le nocche sullo spallaccio in risposta e si rialzò, ondeggiando a passi serrati in avanti. Tariq lo tallonò, prendendo il suo fianco sinistro nell’avanzata. Il loro scalpicciare sul terreno di Or’Olan durò pochi passi; trovato uno sprazzo vuoto, Kyaìvan si piegò sulle ginocchia e da lì si stese a terra. Accantonò il fucile al plasma, che per cautela aveva messo in stand-by a bassa potenza, e portò in posizione il las-cutter portatile.
    Inginocchiandosi sempre alla sua sinistra, Tariq inforcò il calcio del Kantrael sotto l’ascella.
    «Reticolo pulito», annunciò l’operatore, girando una piccola manopola sul fianco del las-cutter. Accostò l’occhio al mirino e tirò il doppio grilletto. Le lame di focalizzazione, installate davanti alla bocca da fuoco, rotearono su se stesse, innescando un contiguo e acuto sospiro.
    «Non riesco a credere che non sia un las-moschetto, capitano...»
    «Rimani professionale.»
    Dalla bocca da fuoco proruppe un raggio cremisi, fitto quanto un pollice d’adulto. Impattò in un baleno sulla rete, tracciandovi un foro che sgocciolava metallo fuso. Regolando la sua altezza con la levetta di destra, Kyaìvan lo portò a tracciare un largo rettangolo sulla rete, ricalcando il profilo che gli aveva evidenziato pochi attimi prima.
    Interruppe il flusso e tirò la scocca del raffreddamento.
    Allineato il puntatore al centro del segmento ritagliato, Tariq esplose due colpi. Il loro schioccare contro la trama fu sufficiente a spingerla in basso.
    «Varco aperto!», comunicò slanciandosi in avanti. «Forza, forza, forza!»
    Scavalcò la rete con un balzo e si accucciò dietro l’angolo sud dell’hangar. Abbassò il Kantrael e dal cinturone estrasse un flare ultravioletto. Lo accese sbattendolo contro il proprio fianco, quindi trasse indietro il braccio e lo scagliò da dove era appena venuto.



    1) Cardinal-Super-Cardinal: fuoco amico. Rosso-su-Rosso.
    2) Il modello di Kantrael usato da Tariq è utilizzabile in Darktide.
    3) Hastata: squadra, fire-team. Una sub-hastata è un'ulteriore suddivisione della squadra, addestrata a muoversi con indipendenza.
    4) helo. Elicotteri.
    5) Zona Demilitarizzata: il confine tra Imperium e T'au come stabilito dagli Accordi di Corinth. Occasionalmente viene usata Zona di Contatto o Zona di Blocco, a seconda di quanto sono frequenti le violazioni del teorico cessate-il-fuoco tra le due parti. E sono molto frequenti.


    Edited by dany the writer - 16/3/2023, 18:41
     
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    II



    Ora avevano a disposizione due punti d’ingresso nell’aereo ancoraggio. Seguendo gli ordini, ne dovevano creare degli altri per favorire l’arrivo dei rinforzi e la stabilizzazione di quella prima presa di posizione in territorio nemico.
    Per quanto ampi, un solo paio di varchi poteva essere tappato con facilità da un qualsiasi contrattacco. Di farsi massacrare in quel modo gli aurelici ne sapevano qualcosa, considerando le loro impressionanti azioni in Netheria. Un fischio sopra alla sua testa lo aiutò a non ridere. Passò acuto e improvviso, sfrecciando al di là dell’hangar prima che potesse vederlo in modo chiaro.
    Scorse, però, la sua scia residua, una sfumata linea grigio-argentea che sapeva di composti chimici acceleratori.
    L’origine del fischio arrivò due secondi dopo.
    Era un caccia-bombardiere garoniano Yarhanghêl, in volo pressoché radente. Beccheggiò sopra all’hangar, stando appena obliquo rispetto alla linea dell’orizzonte. La rete elettrificata, nei segmenti dove non si era afflosciata, stormì come un mucchio di frasche al suo passaggio e dal tetto dell’edificio s’alzarono degli schiocchi di metallo. La sua sagoma appuntita e azzurrina virò di colpo, alzando un urlo come di sirena d’aria contro il cielo e scoccando un fiotto di flares sopra al varco aperto dal las-cutter.
    Un razzo T’au, propulso da un fuoco di plasma blu-bianco, deviò all’inseguimento delle contromisure e piombò sulla loro cresta. Le perforò di netto, volando incontro all’asfalto.
    Tariq s’inginocchiò, ignorando il gravare dello zaino sulle sue spalle. Alzò il braccio destro per proteggersi capo e nuca e schiacciò il bottone del Tempestus Rapidaeghìs. Con una nota metallica, il sottile scudo balistico contenuto nel bracciale dell’armatura da combattimento si aprì, dispiegandosi le proprie placche inclinate ad ottagono.
    Attraverso la presa sentì il picchiettare dei frammenti di vetro. Un colpo più forte arrivò di netto presso il centro dello scudo, mozzandogli il fiato. Strabuzzò gli occhi, sbattendoli più volte per far sparire i bagliori scuri che gli erano esplosi davanti.
    Una tegola.
    Premendo una seconda volta il bottone, Tariq ritirò lo scudo. Si riprese, stando chino sotto il profilo delle finestre. Non c’erano movimenti ostili al di là dell’angolo dell’hangar. La situazione era, ancora per il momento, sotto controllo. Con il las-fucile pronto a fare fuoco, abbassò gli occhi al terreno.
    Una tegola.
    Gli era davvero caduta una tegola in testa. La schiacciò di colpo, borbottando qualcosa che una fitta serie di esplosioni gli impedì di sentire. Lo Yarhanghêl tornò indietro, sciabolando a mezz’aria con un sorvolo basso e trans-sonico.
    Il capitano si spostò di un passo all’interno. ma non gli piovvero tegole in testa. Un ping s’accese sul suo HUD; la squadra si muoveva per raggiungerlo.
    Vranya piombò al suo fianco. Inciampò in un cavo semi-scoperto, tracollando in avanti con il Vox a pesargli sulle spalle. Tariq si mosse in avanti e l’afferrò per la cintura. Il suo peso gli venne addosso, pesandogli sul braccio.
    «Ah, cazzo!»
    «Tranquillo.» Lo forzò indietro di neanche mezzo passo e lo prese per la manica, costringendolo a rimanere in equilibrio. «Ti tengo.»
    Vranya si girò di scatto e lanciò un’occhiata al cavo. Dalla sua postura, era alquanto alterato. imbracciò il suo Accatran e per un momento restò prossimo allo sparargli addosso. Le vibrazioni d’una delle esplosioni di pochi secondi prima scossero la parete dell’hangar.
    Vranya si addossò al muro, dandosi un colpetto in testa. Ma che gentile, gli aveva risparmiato il disturbo di doverlo colpire.
    Alzò indice e medio della mano libera e Vranya gli rivolse un cenno con la testa, l’universale ho capito, prima di dargli le spalle e muovere verso la finestra più vicina. Avanzò rapido, tenendosi presso il muro. Davanti a lui c’era uno sporto circolare, oltre il quale brillava fioca una luce accesa. Tariq lo assecondò, continuando a coprire l’angolo esterno. Scoccò un colpo d’occhi alla selezione del Comvisual e aprì l’icona di Vranya, aprendo un riquadro-videata.
    Lo streaming si saldò dopo un secondo, filtrando via il buffering e la renderizzazione delle immagini in arrivo.
    Scalpicciato fino a dappresso la finestra, Vranya si alzò per controllarla. Stette un secondo immobile, mantenendola sotto tiro, poi si spostò sull’altro lato e spianò l’arma, l’indice pronto sul grilletto. Un secondo d’attesa e nessun segnale.
    Due, ancora niente.
    «Libera!»
    Quello poteva essere un buon segno. Chiuse la videata e, indicate le altre tre finestre con una serie di ping, Tariq gli segnalò di ritornare da lui e lo doppiò mentre prendeva posizione. A ridosso della seconda apertura, sbirciò all’interno, pronto a rompere il vetro.
    Era solo un magazzino di scartoffie.
    Nessun ostile all’interno, né civili immediatamente in vista. Lo stesso vaticinio gli venne dalla visione termica, che disattivò subito per non consumare batteria.
    Alzò il pugno. Al di là dell’hangar, altri scoppi.
    «Due, libera!»
    Si mosse alla terza finestra e un paio di scalpicci robusti gli sopraggiunsero alle spalle. Si fermò per controllare le loro identità, girandosi di scatto ma tenendo l’arma abbassata. Theraphon e Syneas risposero facendo segno di tutto ok e arretrarono fino al muro, assestandosi in modo da avere il suo alto profilo alle spalle.
    Il primo dei due s’inginocchiò e tirò la leva di sblocco del suo Kantrael-Folgore. Dalla bocca dell’arma sibilò fuori un sospiro di vapore grigio.
    «Operativa?»
    In risposta, il trikeliano alzò il pollice destro. Capovolse con metodo l’arma per controllare i display laterali, poi la portò appena sopra all’altezza del gomito, così da dare uno strattone controllato ai cavi del sistema dell’alimentazione. Un sottile e brunito rivestimento metallico li proteggeva dalle schegge nella loro corsa dall’innesto, avanti alla guardia dell’impugnatura, fino alla batteria, saldata dentro il fondo dello zaino tattico.
    «Operativa», confermò, abbassandola.
    Imbracciato il proprio las-fucile, Tariq ristabilì il ping e Therapon si mosse per affiancarlo. Gli fece cenno di prendere il lato esterno della finestra e lui eseguì a testa bassa, ben coperto in quella breve avanzata dalle arcate della las-carabina di Syneas. Proprio quest’ultimo si fermò a mezzo passo dalla finestra, allungò l’indice al grilletto e attese un segnale. Appena lo ebbe ricevuto, si sporse in avanti e sbirciò all’interno.
    Alzò la mano sinistra un secondo dopo, dispiegando per bene il palmo aperto. «Cinque figure all’interno, due amici.»
    I vetri sussultarono.
    Syneas e Therapon arretrarono, riprendendo posizione addosso alla parete. La finestra si aprì dall’interno e Cariad si affacciò, una mano stretta al cornicione per avere presa.
    «Civili.»
    Due donne umane, uno xeno sectoide grigio-rosato. Le prime indossavano una divisa bronzo e azzurro, tagliata in una tuta da lavoro. Erano personale della base.
    Avrebbero potuto uccidere lo xeno, che tremolava chino su sé stesso guardandosi attorno con occhiate nervose, e tenere le due sottochiave, ma purificazione e selezione erano affari delle Unità Interne di Gladius e Garon. Non erano arrivati lì dalla Crociata di Joramund per dirgli come amministrare i loro territori perduti.
    Saldando la presa degli occhialoni sul visore dell’elmetto, Tariq accelerò per raggiungere i due subordinati alla finestra. «Sono collaborativi?»
    «Io direi spaventati, signore.»
    «Direi?» Non gli piaceva quella tipologia di parole. I forse, i direi, i poteva essere. Non dicevano com’era qualcosa, ma come poteva essere. E proprio come gli aveva insegnato il maggiore, più di settantacinque anni prima, i forse erano molto pericolosi in combattimento.
    Therapon alzò la testa per sbirciare all’interno.
    «Due minuti in Garonbass e già stai a parlare con i locali, Qwariad?»
    In risposta a quelle parole, il tiratore scelto rispose stringendo le spalle. Come al solito, aveva addosso quella noncuranza di chi era certo di saperla più e meglio degli altri.
    «Trono, sono fortunate che non siamo aurelici...»
    Syneas s’inginocchiò presso il cornicione, l’orecchio teso al cielo. «Fortunati, adelphoû. Sono fortunati. Conoscendo gli aureliqs, si fotterebbero pure il sectoide.»
    Therapon abbassò il Kantrael-Folgore. «Non hai tutti i torti, phranko
    Cariad si spinse in avanti con un colpetto di reni. Atterrò pesante e netto presso il muro, scrosciando un tumulto di giberne e sbuffi dell’antischegge. Passò l’Accatran dalla destra alla sinistra, la sua mano preferita, e portò la prima a poggiare sul terreno. Alzò il capo e Tariq guardò nella stessa direzione, trovando tra le nubi le veloci sagome di altri due velivoli Yarhanghêl. Volavano molto vicini, con l’apripista appena più in quota della sua ala.
    «Vanno o vengono, signore?»
    «Vengono.»
    Sorvolarono la loro zona, sparendo al di là del tetto dell’hangar. Tariq girò il tablet da polso e lo riattivò, disegnando la chiave di sblocco sullo schermo touch. Erano le 5.16 del mattino. Andando da quel dettaglio, i caccia-bombardieri erano parte della seconda ondata d’attacchi mirati.
    Syneas s’appostò con l’arma al cornicione aperto, portando la mano sopra alla linea del puntatore. La situazione all’interno era tenuta sotto-canna, ma non era presente una minaccia attiva. «Quindi, capitano? Che ne facciamo di loro?»
    Bella domanda. «Parlano Gotico, Cariad?»
    Il tiratore sciolse le spalle. «Non proprio. Mi sembra un dialetto del harona. A suono, le direi che è vagamente belarik,»
    «Niente di quello che ha detto è certo.»
    «Signore...»
    Una delle due ragazze abbassò appena appena le mani. «Shcyj bvi militarii impirialchnyi?»
    «Oy, non ti muovere troppo!», reagì Zhì. La specialista spianò la propria arma, senza però esplodere un solo colpo. Uccidere civili senza motivo non faceva una buona figura sul proprio ruolino di servizio. E comunque non erano lì per quello.
    Cariad si accostò alla finestra. «Ti ho detto che non ti capiscono.»
    Stava andando troppo per le lunghe. «Cos’ha chiesto?»
    «Se siamo militari imperiali, all’incirca.» Il tiratore abbassò un po’ la testa. «Ŝcy… Tsi, tya dibilchìka. Tsi. Imperialtsi. ‘Chto, wyb a’ belarik?»
    «Horholandishcyiki!»
    «Horholan’diŝkii...»
    «Spiegale che non deve muoversi. Se non ci intralcia, non le sarà fatto alcun male.»
    «Tjak, sivya; ŝtoy za tam.» Parlava scandendo bene le parole, lente e chiare. Lo scalda-collo, l’elmetto integrale e le ghiere dello stesso ovattavano la sua voce, ma era chiaro e nitido. «Myy ì nja ztryjl wybve, ‘yit ŝtoy za tam
    «Bvi gue’la!»
    «Njech, myy milites Astra Militarum. Liberatorii.» Si girò verso Tariq. «Dice che siamo gue’la, capitano. Nemici.»
    «Beh, è proprio fortunata che non siamo aurelici...»
    Ièn imbracciò il proprio Accatran, spostando il peso da un piede all’altro. Ciondolava come il lazzarone che era, ecco cosa faceva. «Vero.»
    Zhì si sporse oltre la porta che apriva a quel piccolo ufficio. Alzò la sua arma, un Heridanyus Ex33.092, e ne inforcò il calcio sotto l’ascella. «Stop!»
    Un colpo d’arma al plasma le volò sopra alla spalla, esplodendo contro il cartongesso della parete. Una bolla di schegge polverose sprizzò dall’impatto, piovendo furiosa a terra. Piazzata una mano sul cornicione, Tariq si tuffò all’interno. Si fiondò presso la porta e batté un colpo sulla spalla della subordinata, per allertarla della sua presenza. Lei indietreggiò sul lato coperto della porta, sottraendosi all’arrivo di altri due colpi ad impulsi a lenta cadenza.
    «Cariad, Therapon!»
    La specialista tecnica schioccò le dita e il suo cyber-famiglio le volò a fianco. Cinguettando un borbottio elettronico, il servo-teschio uscì dalla stanza e il lampo di una flashbang eruppe nel corridoio. Attivato il Comvisual, Tariq si collegò alla sua telecamera e mosse la videata in basso a destra. Sporse il fucile e tirò il grilletto.
    In risposta al suo fuoco di soppressione, i T’au si dispersero dietro le pareti. Mosse l’arma trenta centimetri più a sinistra e sparò ancora tre volte, portando due di quei colpi rossi e brillanti a collidere contro il fianco di un militare in armatura leggera.
    L’alieno si afflosciò a terra e un braccio saettò al suo collare, afferrandolo per trascinarlo al coperto. Ritirata l’arma, Tariq controllò lo stato della sua cella energetica e scoccò un cenno a Therapon. Il trikeliano scavalcò la soglia e spianò il Kantrael-Folgore. Un fiotto di dardi laser brillò fuori dalla canna, correndo a trinciare gli angoli delle pareti. I loro fischi s’accalcavano, sorpassandosi gli uni sugli altri.
    «Soppressi!», dichiarò il trikeliano, arretrando e chinandosi senza interrompere il suo sbarramento. Zhì l’affiancò dal lato protetto e lanciò un’altra granata all’indirizzo dei T’au. Il bagliore sussultò contro gli stipiti e le lampade.
    Tenendosi presso la parete, Tariq avanzò a ridosso dei guerrieri T’au. Uno di loro si mosse fulmineo, schiacciando con la mano un pulsante. Dall’alto calò una paratia metallica, del tipo a taglia-fuoco. Arretrando per non essere schiacciato, Tariq posò un ginocchio a terra e imbracciò il las-fucile. Ispezionò il portellone dall’alto al basso.
    C’era una telecamera in alto a sinistra.
    «Rymn’el?», disse rialzandosi. Zhì si avvicinò, spazzandosi lo spallaccio dalla polvere che le era volata addosso. «Secondo la tua expertise, sono sistemi binati?»
    «Aye-aye, capitano.»
    «Sii professionale.» Con un ping le segnalò di passare alla bassa frequenza vox unità-unità. «Puoi hackerarla e risalire al pannello di sblocco?»
    Lei richiamò il servo-teschio a sé. «Certo che sì. Dove c’è una porta-accesso...»


    Trivia

    Phranko: è il loro equivalente del nostro bro/bruh.
    Aurelici, aureliqs: denominazione di base dispregiativa degli aureliani del Sector Korianìs. Per ottime ragioni :boom:
    Harona: la khoiné linguistica parlata nel Sector Garon, distinta dall'accentato e locale Gotico Basso che viene usato in tan-dem.
    Lo Harona discende da un qualche ramo della famiglia delle lingue est-slave, ma con la distanza cronologica tra loro e noi, sarebbe legittimo premettere che qualsiasi cosa parlino, per noi non dovrebbe suscitare alcuna familiarità. Non ho voglia di creare una lingua da zero per questa fyccina, già lo faccio per le mie storie originali, quindi uso una forma di vago Surzhyk molto semplificato. Comunque, posso dire che lo Harona ha perduto la gran parte dei casi e ha annesso parole straniere attraverso 38.000 anni di shift linguistico.
    Lo ishtarico, parlato su Venere e le colonie di Venere, viene dalla stessa origine e molta gente INIORANTEdell'Imperium parte con l'assunto che siano la stessa lingua, e le accorpa anche al Vostroyano.
    Urge una precisazione: harona e vostroya sono più imparentate tra loro di quanto non lo siano con lo Ishtarico, che pur provenendo dalla stessa famiglia, ha notevoli differenze. Una spiegazione potrebbe essere che lo Harona viene da un qualche lontano discendente del russo e così il vostroya, ma lo Ishtarico ha le sue radici in un qualche discendente dell'Ucraino.
    In ultimo, lo Spathiano è alla lunga imparentato con queste lingue... ma discende da propaggini figlie principalmente del bulgaro e del bosniaco, che lo rendono discendente dalle lingue YUGO-slave.
    Fine lectio, cya.


    Edited by dany the writer - 19/3/2023, 17:06
     
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    Termini come "Operazione Militare Speciale" e "Socialista Universitario" non c'entrano nulla con il 40K.
     
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    CITAZIONE (Raistlin94 @ 20/3/2023, 01:03) 
    Termini come "Operazione Militare Speciale" e "Socialista Universitario" non c'entrano nulla con il 40K.

    Ciao Raistlin!

    Facilità di lettura. Definire Ièn come un universitario, e qualcosa che Tariq apostrofa come socialista, viene prima di qual si voglia altra architettura di definizione che porterebbe alla stessa cosa con più giri.

    Quanto a che non ci sia posto nel 40K per cose del genere, non sono d'accordo. l'Imperium è vasto, non è uniforme, non è omogeneo.
     
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    Molto belli!! :clap:
    Mi piacciono tutti questi dettagli che specifichi in ogni parte del racconto.
     
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    CITAZIONE (LaurensV @ 20/3/2023, 11:13) 
    Molto belli!! :clap:
    Mi piacciono tutti questi dettagli che specifichi in ogni parte del racconto.

    Ciao, Laurens il Quinto!
    Allora, grazie innanzitutto 🥳

    I dettagli non sono necessari, mettiamola così, ma fanno da piccolo extra per magari quadrare meglio uno o due passaggi. Una volta li lasciavo senza spiegazione, però è problematico quando si accumulano
     
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    CITAZIONE (dany the writer @ 20/3/2023, 10:31) 
    CITAZIONE (Raistlin94 @ 20/3/2023, 01:03) 
    Termini come "Operazione Militare Speciale" e "Socialista Universitario" non c'entrano nulla con il 40K.

    Ciao Raistlin!

    Facilità di lettura. Definire Ièn come un universitario, e qualcosa che Tariq apostrofa come socialista, viene prima di qual si voglia altra architettura di definizione che porterebbe alla stessa cosa con più giri.

    Quanto a che non ci sia posto nel 40K per cose del genere, non sono d'accordo. l'Imperium è vasto, non è uniforme, non è omogeneo.

    Ciao Dany, sì ricordo i tuoi racconti e sì l'Imperium è vasto, non uniforme e non omogeneo ma no. Il socialismo non è una corrente politica nell'Imperium quindi semplicemente non sanno cosa sia e non credo proprio che facciano l'università; l'unica cosa di simile è la Schola Progenium.
    L'operazione militare speciale è una cosa dei russi dei nostri anni, nelle decine e decine di romanzi ufficiali del 40K l'Imperium non ha mai definito una guerra od una battaglia in questo modo.
    Mo. E' il tuo racconto quindi ci puoi mettere quello che vuoi adducendo che sì nella Galassia ci può essere la qualsiasi, la stessa GW a retcon ci ha rotto le scatole, però (PER ME) guastano il racconto perchè sono definizioni non necessarie che vanno a modificare cose invece realmente esistenti in quel mondo senza aggiungere nulla se non fan service. Conoscendo ed amando il 40K leggere termini non necessari e che non c'entrano mi fanno storcere il naso e mentre leggo il resto mi rimane il fastidio per quei termini.

    A tutto devi pensare "il perchè".
    Perchè dovrebbero definirla "operazione militare speciale"? Devono dire all'opinione pubblica che non è una guerra o non farsi condannare troppo dalle altre nazioni?
    Perchè dovrebbero conoscere il socialismo? Dove lo imparano?
     
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    CITAZIONE (Raistlin94 @ 21/3/2023, 01:36) 
    CITAZIONE (dany the writer @ 20/3/2023, 10:31) 
    Ciao Raistlin!

    Facilità di lettura. Definire Ièn come un universitario, e qualcosa che Tariq apostrofa come socialista, viene prima di qual si voglia altra architettura di definizione che porterebbe alla stessa cosa con più giri.

    Quanto a che non ci sia posto nel 40K per cose del genere, non sono d'accordo. l'Imperium è vasto, non è uniforme, non è omogeneo.

    Ciao Dany, sì ricordo i tuoi racconti e sì l'Imperium è vasto, non uniforme e non omogeneo ma no. Il socialismo non è una corrente politica nell'Imperium quindi semplicemente non sanno cosa sia e non credo proprio che facciano l'università; l'unica cosa di simile è la Schola Progenium.
    L'operazione militare speciale è una cosa dei russi dei nostri anni, nelle decine e decine di romanzi ufficiali del 40K l'Imperium non ha mai definito una guerra od una battaglia in questo modo.
    Mo. E' il tuo racconto quindi ci puoi mettere quello che vuoi adducendo che sì nella Galassia ci può essere la qualsiasi, la stessa GW a retcon ci ha rotto le scatole, però (PER ME) guastano il racconto perchè sono definizioni non necessarie che vanno a modificare cose invece realmente esistenti in quel mondo senza aggiungere nulla se non fan service. Conoscendo ed amando il 40K leggere termini non necessari e che non c'entrano mi fanno storcere il naso e mentre leggo il resto mi rimane il fastidio per quei termini.

    A tutto devi pensare "il perchè".
    Perchè dovrebbero definirla "operazione militare speciale"? Devono dire all'opinione pubblica che non è una guerra o non farsi condannare troppo dalle altre nazioni?
    Perchè dovrebbero conoscere il socialismo? Dove lo imparano?

    Giuste osservazioni

    Circa perché sia detta Operazione Militare Speciale... perché è un'Operazione Militare Speciale, affrancata dalla Crociata. Viene condotta principalmente dai Sector Gladius e Garon con alcuni supporti dal resto della Crociata e dell'Imperium e perché è, funzionalmente, una battuta.
    E' un'Operazione Militare Speciale perché è un'Operazione Militare Speciale. Forse non la vogliono chiamare guerra per non legittimare il Regime Bandita di T'au, forse volevano pubblicizzarla così alla Terra.
    Magari, con già una grossa Crociata in corso, era più semplice ottenere fondi descrivendola come "Un'Operazione Militare Speciale per de-militarizzare e de-nazionalizzare i T'au che bombardano il Garonbass!"
    I mean... davvero, è una battuta. Non leggerci più del dovuto.

    Circa università e mica università, no. La Progenium non è la sola scuola imperiale, anzi; la Progenium è un'istituzione para-statale, se vogliamo. In Necropolis, hai ospedali civili e medici civili e la dottoressa Ana Curth menziona di aver studiato molti anni per arrivare alla sua posizione. E' giusto attenersi ad una certa visione, ma io suggerisco di non bloccarsi sulla stessa.
    Se ti sto dicendo che Ièn è un universitario, prendilo così come viene. Ièn appartiene ad un ceto sociale non elevato, ma nemmeno basso della popolazione di un Sector relativamente ricco e commerciale (Elysia) non troppo distante dal cuore dell'Imperium. Non mi piace auto-spoilerarmi in un commento, ma in sostanza la Guardia Imperiale gli paga le rate fintanto che lui copre un tour di servizio. Che poi questo tour di servizio sia allungabile praticamente a piacere da chi è sopra, è un altro dettaglio.
    Quel che gli rimane è che prima o poi lo congedano e avrà l'università pagata.

    Quanto a socialista...
    Ièn è "uno studiato". Nel primo pezzo cita Ozymandias, che già dice abbastanza su come un'opera di poesia di due secoli fa sia in qualche modo arrivata a loro con ancora un significato simile. Allo stesso tempo, quello che Tariq identifica come socialista può essere qualcosa che io ti tratteggio con questi termini per una semplicità di comprensione, piuttosto che tirare fuori un neologismo che nessuno coglierebbe.
    Dire che è un "vulgusivsterist-omnibasicdirictista della domenica" non ti farebbe capire niente. Dirti che Ièn è l'Universitario Socialista o Libri o Lo Studente o così via ti rende quel che voglio farti rendere di lui.

    Siccome questa è una fyccina che sto scrivendo per simpatia, distante da altre opere più complesse che ho in cantiere, e per fare un po' un digesto di una guerra vera che sto seguendo dal giorno uno... non pretendere più di quel che trovi nel post. La parola dell'autore, certe volte, è la parola dell'autore. Una storia è un prodotto, se non piace se ne trova un'altra e via così.
     
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    Va bene, va bene.

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    Circa università e mica università, no. La Progenium non è la sola scuola imperiale, anzi; la Progenium è un'istituzione para-statale, se vogliamo. In Necropolis, hai ospedali civili e medici civili e la dottoressa Ana Curth menziona di aver studiato molti anni per arrivare alla sua posizione.

    Non lo sapevo.

    CITAZIONE
    Dire che è un "vulgusivsterist-omnibasicdirictista della domenica" non ti farebbe capire niente. Dirti che Ièn è l'Universitario Socialista o Libri o Lo Studente o così via ti rende quel che voglio farti rendere di lui.

    Ti basta fare come per le altre spiegazioni nei capitoli pubblicati, metti la spiegazione nelle trivia in spoiler a fine capitolo.

    CITAZIONE
    se non piace se ne trova un'altra e via così

    già
     
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    CITAZIONE (Raistlin94 @ 21/3/2023, 21:48) 
    Va bene, va bene.

    CITAZIONE
    Circa università e mica università, no. La Progenium non è la sola scuola imperiale, anzi; la Progenium è un'istituzione para-statale, se vogliamo. In Necropolis, hai ospedali civili e medici civili e la dottoressa Ana Curth menziona di aver studiato molti anni per arrivare alla sua posizione.

    Non lo sapevo.

    CITAZIONE
    Dire che è un "vulgusivsterist-omnibasicdirictista della domenica" non ti farebbe capire niente. Dirti che Ièn è l'Universitario Socialista o Libri o Lo Studente o così via ti rende quel che voglio farti rendere di lui.

    Ti basta fare come per le altre spiegazioni nei capitoli pubblicati, metti la spiegazione nelle trivia in spoiler a fine capitolo.

    CITAZIONE
    se non piace se ne trova un'altra e via così

    già

    Le trivia sono un extra, un addendum di cui la storia non ha bisogno, ma dalle quali ottiene un surplus. Quello di Ièn è un tratto caratteriale, che prevede un suo percorsino nella narrazione. Sono situazioni diverse. Prendi le trivia come un guardare una puntata di una serie con il Director's Commentary. Non è indispensabile, ma se vuoi puoi.

    Circa il non lo sapevo su Ana Curth, eccoci qui. Nel senso, eh, puoi mandare una e-mail ad Abnett e dirgli che le università non esistono. In un setting che non è tanto la sua originalità, ma la somma delle parti passate attraverso un frullatore.
    Io mica ti fermo dal farlo.
     
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    Le Prime Ore
    Hahàva Voini’ìl



    Or’Olan ‘Blast
    Or’Olan Aereo Ancoraggio
    M42.025, Terzo di Gennaio


    I tre T’au gli erano sfuggiti! I maledetti blues erano sgusciati alle spalle di un furgoncino, sottraendosi al loro tiro. Allineando l’occhio al mirino della las-carabina, Hahàva flesse l’indice.
    Azzerò la propria visuale sulla vettura, scorrendo avanti e indietro dalla prua alla poppa. Era un mezzo ruotato, purtroppo. Ah, se solo fosse stato un veicolo a-grav!
    Gonfiò il bicipite, mantenendo ferma la sua presa sull’arma. Trasse un buon respiro e lo rilasciò, contrastando l’istinto delle braccia di ondeggiare e distorcere la mira.
    Cinque secondi.
    Niente.
    Dieci secondi.
    Nessun movimento.
    L’aereo ancoraggio era scosso, con pause più o meno lunghe, da scoppi. Alcuni erano molto ravvicinati, razzi aria-terra o missili Krak d’attacco sganciati dalla copertura aerea su siti d’interesse prossimi alla loro zona operativa.
    Altre erano più lontane. Talvolta rimbombavano pesanti, ruzzolando le loro onde d’urto fin lì. La rete elettrificata che stava alle loro spalle tremolava quando succedeva.
    Tamburellò sulla cassa con le dita della sinistra, corrucciandosi. Il flusso dei fuggiaschi scorreva davanti al puntatore, schiumando grida e allarmi. Staccò l’occhio dal mirino e sbatté la palpebra per riabituarla alla luce esterna.
    Lo zaino tattico e il Kometar-Mod.220 steso di traverso lungo le spalle le pesavano sulla schiena, incollandole l’armatura all’uniforme e questa alla pelle. Quell’affare pesava, per il Trono d’Oro. Come il paracadute. Il suo tablet da polso segnalava sedici gradi all’esterno, ma con tutta la roba che aveva addosso, se ne sentiva addosso almeno il doppio.
    Ritornò a seguire l’evacuazione e un brivido le attraversò la spina dorsale. Aveva visto qualcosa, agli inizi del suo passaggio. Tornò indietro, riportando il fucile in posizione per guardare il fianco nord-ovest della strada che, in fondo alla pista, portava alla metro.
    Yah-ah!
    Alzò il pugno chiuso e pulsò una sola volta, poi sollevò indice, medio e anulare. Li incrociò, mandando un ping d’avviso al sergente Aurelios. Quest’ultimo s’inginocchiò alla sua destra, alzò l’Accatran e ne spinse il calcio contro la spalla.
    «Mmh...»
    «Cinque», bisbigliò Hahàva. Portò il puntatore a inquadrare l’apripista della formazione nemica. Sul suo spallaccio erano impressi sia marchi T’au che segni numerali ispirati a quelli imperiali. Tutti in bianco su azzurro. «Più due medici.»
    E i due della pattuglia precedente. Se avessero attaccato, sarebbe stato uno scontro di nove contro cinque. In sé fattibile, ma complicato dal fatto che, senza una via laterale da cui fiancheggiarli, sarebbero andati all’attacco faccia a faccia.
    E quella non era mai una buona premessa. Come diceva il maggiore, uno scontro alla pari poteva anche essere bello, ma nove volte su dieci era solo stupido. Al di là delle considerazioni personali, era meglio tornarsene a casa a lavoro fatto e finito con un rapporto di dieci a zero, piuttosto che un paio di richieste per decorazioni postume. E un attacco frontale le richieste per le decorazioni postume le attirava come lo sterco con le mosche.
    «Non ci hanno visto.»
    Ma se erano entrati in contatto con la pattuglia di pochi minuti prima, sapevano che c’erano assaltatori imperiali all’interno del perimetro. I trasformatori, per quanto sicuri, erano una posizione ormai bruciata, da lasciare alla svelta. «Per ora...»
    L’apripista si piegò presso un palo segna-miglia e sventolò il braccio per chiamare a sé la squadra. Due Guerrieri del Fuoco, tra cui un paio di Zoccoli, lo raggiunsero con un corto scatto. Si assieparono presso il guard rail, guardinghi e parzialmente scoperti. Hahàva strinse il grilletto. Erano fermi già da alcuni secondi, con le loro armi puntate a mezzo busto,
    Si guardavano attorno con un che di perso. Sì, proprio soldati del Domusdie.
    E quello era una squadra d’assalto a guardare i suoi armamenti. C’era una preponderanza di Stivali rispetto a Zoccoli, che puntava ad un’unità di milizia locale piuttosto che un reparto della Cadre Or’Olan, più armato e fornito.
    Seguendoli nella loro cauta avanzata a ridosso dei fuggiaschi, Hahàva contò due fucili ad impulsi. Modelli lunghi. Erano terribili sulla lunga distanza, ma a corto raggio non rendevano bene. Il resto era armato con carabine e alcune las-armi, però di manifattura T’au.
    Dopo quella pausa, i T’au continuarono a procedere chini, costeggiando il guard rail sospeso a mezz’aria. Avrebbero potuto tagliare loro la strada con una raffica della Draken.
    «Sergente?», chiese Zhayn sul canale a onde corte.
    «Aspetta. Manteniamo.»
    Due droni seguivano la colonna. Uno era armato, l’altro montava solo un set di telecamere. Accelerarono in testa alla colonna, saettando i loro obbiettivi ora qui e ora lì. Quattro Guerrieri del Fuoco li seguirono, sistemandosi a ridosso delle ringhiere in cima ai muretti, che scendevano sottoterra. Tra loro, uno cominciò a segnare alla gente di passargli oltre.
    Hahàva ingrandì su di lui. Era il loro comandante, un ‘Vre. Alzò la testa, tutta coperta dall’elmetto oblungo, e il suo gesto cambiò di colpo, facendosi più secco. I Guerrieri del Fuoco s’accucciarono e fecero una levata di scudi verso l’alto.
    «Siamo coperti», disse Aurelios, abbassando un po’ la sua arma. Subito oltre le piste e il guardrail, due helos d’attacco Garoniani stavano effettuando un sorvolo rapida a bassa quota del perimetro del quadrante Horholandius, scortati da una delle loro cannoniere Vendetta. Girarono attorno alla fiumana dei fuggiaschi, mantenendo una buona crociera e altrettanta distanza dal suolo.
    Hahàva richiamò l’attenzione del sergente, puntandogli la squadra. Era bloccata in sito. Il suo comandante era indeciso, accucciato presso il guard rail. I Guerrieri del Fuoco passavano dal tenere sotto tiro i velivoli a puntare nella loro direzione, senza prendere una decisione in merito.
    Erano vulnerabili! «Attacchiamo?»
    «Restiamo in svantaggio.» Le rispose Aurelios, che poi si chinò in ginocchio presso il bordo destro della linea dei trasformatori. Accennò a Cyrene di venire lì, imbracciando l’Accatran per essere pronto a coprire la sua avanzata.
    L’operatrice Vox zigzagò a brevi scatti. S’inginocchiò contro il terriccio, lasciandosi cadere in avanti su gomiti e ginocchi. Aurelios sganciò la cornetta dal suo apparecchio e l’avvicinò al proprio viso.
    «Vang-Primus A a Secundus, Vang Primus a Secundus
    Dal vox gracidò la risposta di Mâhrat. «Vang-Secundus B, qui. Procedi, Vang-Primus A.»
    «Abbiamo contatti sulle nostre Ore Ventiquattro. Sette, in aggiunta ai tre precedenti.»
    «Vi hanno avvistato?»
    «Ya-ha.»
    «Rimani professionale, Markhairena.» Si vedeva, anzi si sentiva che era l’ombra di Ben Elyssa. Stesso inesistente senso dell’umorismo. «Abbiamo rinforzi in arrivo. Segnate che la zona è aperta agli sbarchi, e muovete all’attacco appena si apre una finestra.»
    «Veicoli dal vostro lato, Vang-Primus B?»
    «Negativo al momento. Siamo in ascolto per a-grav.»
    Hahàva si guardò alle spalle, staccando l’occhio dal mirino. La ZdS era operabile, ma avrebbe esposto le squadre in sbarco al possibile fuoco di quei T’au. «Per coprirli ci dobbiamo far vedere noi...»
    Aurelios allontanò la cornetta, coprendo gli altoparlanti con il pugno. «Sssht
    Riportò l’occhio al mirino, focalizzando sul capitano di quel manipolo di T’au. «Ssht un cazzo. Se un ordine è stupido, va detto.»
    «Sì, ma siamo qui per fare il nostro lavoro...» Con la cornetta di nuovo vicina al visore, Aurelios curvò le spalle. «Secundus, siamo in condizione di attaccare. Abbiamo Civies negli obbiettivi, però. Abbiamo velivoli amici in superiorità.»
    «Ricevuto per velivoli amici, Primus A», in sottofondo crepitarono degli spari. Erano las-armi. «Devono sganciarsi a breve, stanno facendo copertura per gli sbarchi.»
    «Secundus, avete aperto voi il fuoco?»
    Dei bagliori rossi scoppiarono sul guard-rail, sprizzando schegge di metallo fuso sui Guerrieri del Fuoco. I civili in fuga si fermarono, coprendosi la testa. «Negativo. Mantenete il sito e procedete appena gli sbarchi sono completati, abbiamo un ping alleato. Decifriamo.»
    Aurelios annuì, chiuse il canale e coprì i fori della cornetta con il pollice. «Oh, qualcuno ci sta rubando le piste...»
    «Figli di puttana!» sbottò Hahàva, spostando il peso da un gomito all’altro. Una scossa attraversò il terreno, crescendo in una manciata di secondi da poco più di un tremore ad una ventata sorda e cieca. Due Lightning Stryker, blu e bianchi, sfrecciarono sopra di loro con i post-bruciatori che brillavano nella penombra. In avvitamento orizzontale, virarono verso le piste e dai loro ventri scoppiarono in avanti due nevicate di flares e photo-disturbatori.
    Aurelios sganciò un flare ultravioletto dalla sua cintura, trasse indietro il braccio e, sbuffando, lo scagliò al di là del varco che avevano aperto nella rete. Il flare scoppiò in mezzo all’erba aliena, sprizzando il suo composto nella penombra creata da quei due soli rossi.
    Le cannoniere erano attrezzate per rilevarli e, a giudicare dalle due che erano atterrate a ridosso della ZdS del capitano Ben Elyssa, anche lui aveva segnalato il via libera.
    Il Vox di Cyrene s’animò con un breve brusio di statica. «Vang-Primus A, qui Carrier Vang-Quinta. Coprite ZdS evidenziata, sbarco in quindici sec.»
    Cyrene cercò un segnale da Aurelios, che annuì e alzò un pollice a segnalare il Tutto OK. Indietreggiò verso la rete, tenendo la linea dei trasformatori alle proprie spalle per non trovarsi allo scoperto.
    L’operatrice Vox avvicinò la cornetta al proprio visore e abbassò un po’ la testa. Era un suo tic. «Ricevuto, Carrier Vang-Quinta. La vostra ZdS è coperta, siamo in stand-by operativo.»
    «Mantenete fino allo sbarco, grazie.»
    «Ricevuto per mantenere, Vang-Quinta.»
    Ululando tuoni di reattori che scendevano di ritmo, una Valkyrie planò alle loro spalle. Impattò con i carrelli, rallentando la propria discesa con i jet di manovra, e poi il sussulto dei portelloni che si aprivano rimbombò da dietro la recinzione elettrificata.
    Vang-Quinta prese posizione in una falcata e mezza, occupando un cerchio intorno alla cannoniera. Si mosse per raggiungerli, scorrendo su due direttive. Un lampo azzurro sgorgò dal guard rail, esplodendo vicino alla metà che veniva da sinistra. Scoppiò a terra, frenando la sua avanzata.
    «Ingaggiati!», esclamò Aurelios alzandosi sulle ginocchia. Spianò l’Accatran e aprì il fuoco sul guard-rail e gli assaltatori T’au, rilasciando tre colpi in rapida successione.
    Hahàva sbatté le palpebre.
    Era cominciata, allora. Aggiustò la presa dei gomiti e delle ginocchia al suolo e riportò l’occhio al mirino, allineando il puntatore sulla figura d’un T’au impegnato a sparare. Era uno dei due tiratori con il lungo fucile ad impulsi.
    Tra collo e piastra toracica la loro armatura era più sottile. Più vulnerabile. Portò l’arma a tiro e tirò il grilletto, trovando familiarità nell’eco supersonico dello scoppio. Il T’au caracollò a terra, con una vampata di fumo che saliva da poco sopra lo sterno. I due medici lo soccorsero, coperti da uno Zoccolo armato di las-carabina.
    Alzò l’arma per sparare e Hahàva lo azzerò con un colpo nella lente principale dell’elmetto. I suoi compagni persero un secondo, poi esplosero a sparare ad alzo zero sui trasformatori. Zhayn replicò con la Draken, costringendoli al silenzio. La mitragliatrice tuonò, sgranando una cintura di calibri pesanti che scoppiarono avanti e avanti, sprizzando terra e asfalto polverizzato. Esplodendo slabbrate bolle di scintille, i suoi colpi raggiunsero il guard-rail, scheggiandolo nel cercare di prendere i T’au al di là.
    Una raffica di carabina ad impulsi fendette l’aria, sprizzando geyser di terra bruciata. Uno dei loro commilitoni di Vang-Quinta cadde all’indietro, premendosi una mano contro l’ascella.
    «Abbiamo un ferito, Secundus», disse Aurelios nella cornetta Vox. «Stanno inchiodando Quinta.»
    «Copiato. Procedete per liberarli. Vang-Quinta A prende l’edificio alla vostra sinistra.»
    «Chiaro, Quinta A sugli uffici. Ci muoviamo!»
    Colto il segnale, Hahàva s’impuntò sulle ginocchia e si spinse in piedi. Scivolò oltre i trasformatori, zigzagando in avanti.
    Sopra alle sue spalle, la mitragliatrice di Zhayn continuava a scaricare fuoco di soppressione sulla linea del guard rail. I calibri le fischiavano vicini, incrociandosi al più disperso fuoco di controbatteria alzato dai T’au ancora impegnati. Stringendo la testa tra le spalle, Hahàva caricò un fumogeno nel lanciagranate sotto-canna e svirgolò l’arma in alto.
    Tirò il grilletto ausiliario, rilasciando l’ordigno.
    Una nube biancastra scoppiò a bordo della pista, rilasciando una scarica di disturbi elettronici. Aurelios le sibilò sulla destra, seguito da Cyrene. Quindi Joshùa doveva essere alle sue spalle. Nessun ping dal suo elmetto, però.
    Strano.
    Visto il guard rail esterno, Hahàva ci appoggiò una mano sopra e si spinse oltre. Il tonfo con il prato le risalì dalle punte dei piedi alle spalle, trasmettendole un tremore sordo. Strinse i denti, lo ignorò e coprì qualche altro metro correndo. Si gettò in avanti, grattando l’erba con le protezioni per i gomiti e le ginocchia. Alzò gli occhi alla visuale termica e l’attivò, allineando la las-carabina sulle figure dei T’au ormai non più di ottanta metri da lei.
    Le silhouette dei civili disturbavano la resa grafica. Scorrevano a ridosso degli Assaltatori, correndo verso la metropolitana per mettersi in salvo. Premendo il calcio contro il braccio, Hahàva aggrottò la fronte. Una sagoma si staccò dal bordo, alzandosi sulle ginocchia.
    La inquadrò e fece per sparare, ma tre lampi rossi le scoppiarono sul tronco. Con l’Accatran spianato, Aurelios le passò accanto e scoccò un cenno.
    Pazzo! Slanciandosi in avanti con un colpo di reni, Hahàva lo tallonò. Uscirono dalla nube fumogena e deviarono di corsa verso un montacarichi transpallet abbandonato sul prato. Si accostarono alla sua cabina di pilotaggio.
    «Me l’hai rubato.»
    «Ah, sempre a lagnarti!»
    Aurelios le diede un colpetto sulla spalla e lei arretrò, lasciandogli il lato esterno del montacarichi. Scavalcò i bracci esterni, spazzò il terreno davanti a lei fermandosi di colpo. Esplose una raffica di sbarramento sul guard rail, poi ritornò indietro.
    Con lo zaino urtò le spalle di Aurelios.
    «Ma che cazzo fai?»
    «Scusa!»
    Una corta raffica di carabina ad impulsi sbrecciò il tettuccio del transpallet, piovendo scintille a raggio.
    Scendendo sulle ginocchia, Hahàva controllò la cella energetica e poi si sporse. Tornò indietro con un mezzo balzo, evitando di farsi colpire da una sequenza di dardi azzurrini.
    «Ancora!», urlò Aurelios arretrando per tornare al riparo. «Cazzo, piantala di urtarmi!»
    Gettandosi a terra, Cyrene si stese accanto a loro e prese a fare fuoco sul guard rail. Con lei a coprirlo, Aurelios si mosse in avanti e zigzagò. Seguendolo, Hahàva alzò il braccio sinistro per fare da appoggio al sotto-canna dell’Accatran. Sparò una breve raffica per coprire il compagno, poi deviò a destra per non offrire ai T’au un bersaglio troppo allettante.
    Più in avanti, in diagonale rispetto a lei, c’era una scaletta mobile che portava al portellone d’ingresso di uno shuttle. Salì i primi gradini di corsa, tornando a fasciare l’astina con la sinistra. Uno scalpiccio la raggiunse alle spalle, seguito da un ping.
    Era Libri.
    Presa posizione presso il portellone, si spinse contro la fiancata per fare spazio al commilitone. Cariad sbloccò l’accesso e s’infilò all’interno per primo, dardeggiando con l’arma in rapide arcate per assicurarsi che non ci fossero ostili. «Libera!»
    Lo seguì.
    Con la coda dell’occhio lo vide armeggiare con l’altro portellone. Si mosse verso la cabina di pilotaggio, entrando a testa bassa e arma spianata. Dei lampi azzurri le balenarono davanti agli occhi, seguiti dal frantumarsi dei vetri del cupolino. Si piegò in ginocchio davanti alle consolle, alzò l’Accatran e sparò in semi-automatico verso l’origine di quei colpi.
    Quattro, cinque, sei, sette spari. Arretrò, guardando l’indicatore della cella energetica. Era ancora buona, ma valeva la pena rischiare con mezza carica? La sganciò premendo un bottone sul lato dell’arma, stappò una tasca e ne infilò una fresca.
    Ièn aveva sbloccato il portellone. Lo seguì, prendendo il controllo della soglia. Lui si scoprì, esplodendo un paio di colpi sui T’au ora sottostanti e tagliati di lato. Uno cadde ferito, l’altro si sganciò e prese riparo dietro gli scalini della metro.
    Il portellone decollò a mezz’aria davanti ai suoi occhi, tranciato da una scarica di calibri pesanti. Una mitragliatrice o un blaster ionico, fuoco fitto e costante. Aveva liquefatto il metallo e strappato il portellone, che ora rimbalzava sul prato. Ièn arretrò, accucciandosi di colpo.
    «Hanno un Devilfish.»
    «Abbiamo visuale?»
    Libri le rispose con un cenno del capo. «Sì.»
    «Devilfish!», risuonò sul canale Vox di squadra. Era la voce del capitano Ben Elyssa. «Ore Venti, traverso venticinque. State giù, lo triangolano!»
    I ruggiti degli aerei si avvicinavano...


    Trivia

    -Yah-ah, Ahaha; gergalismo elysia per uh-uh. Sorprendente, vero?
    Devilfiish: è un APC/IFV T'au, prodotto anche in Or'Olan. Potevo menzionarlo come Pesce-Diavolo per evitare il forestierismo, ma non ne avevo voglia.
    Kometar: è già apparso all'inizio, si tratta di un lanciarazzi portatile spara-e-dimentica di produzione Garon/Gladiana. In pratica è uno NLAW/Javelin/Stinger che spara anche munizioni termonucleari a basso carico.
    Accatran: il principale pattern d'armamenti usato dagli Elysia. La sua configurazione bull-pup permette di salvare spazio.
    Horholandius: precedente nome di questo 'Blast, quando era sotto la giurisdizione imperiale pre Accordi di Corinth. Poiché i T'au hanno qualche difficoltà a concepire la h aspirata tipica della zona, lo hanno progressivamente trasformato in Or'Olan. Ma l'ImperiVm non è d'accordo con questa nomea e la trova un'altra misura dell'ILLEGALE REGIME DI T'AU per de-imperializzare e opprimere le popolazioni imperiali e le loro fantastiche lingue locali. Ovviamente perché i T'au sono etno-collettivisti nazionalisti banditi nemici!
    Domusdie: domenica.


    Edited by dany the writer - 30/3/2023, 00:24
     
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