Valorchives

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  1. dany the writer
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    Verona, Imperium dell'Uomo

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    Capitolo I-G
    Aurelios Markhairena




    +++Segmentvm Obscvrvs
    Hera-Amiir Sector

    Espansione di Zaqqurava
    Sistema Stellare di Hervara

    Hervara IV-B, Mondo-Civilizzato
    Continente di Invyyere

    Portal Danòrra, 201 chilometri SO da Negemyn
    M42.Y022+++



    Il Gladian MBT inchiodò presso il raccoglitore dell’immondizia e sulla strada rotolò un pesante, trascinato tramestio metallico. I suoi tubi di scappamento sputacchiarono due, tre e poi quattro zaffate di carburante bruciato.
    La torretta si smosse, ruotando verso destra. Aurelios ne approfittò, segnalando con la mano ai suoi due compagni di squadra di seguirlo; si ripararono alle spalle del corazzato, falciando la strada antistante e posteriore con brevi, serrate arcate di tiro.
    Segnò a Ièn di dargli il cambio e prese il controllo dell’ala destra, appoggiando una mano alla gonna zigrinata. Un barlume rosso, appena in tempo filtrato dal visore, gli abbagliò davanti. Il suo sibilo supersonico arrivò un paio di secondi dopo, mentre il dardo esplodeva a contatto con l’asfalto.
    «Giù!»
    I colpi aurelici arrivarono a gradinata, precipitando dall’alto sopra alle loro teste. Ciuffi di strada polverizzata s’alzarono attorno a loro, insistendo per alcuni attimi. Schiocchi più ferrosi, dati dall’impatto contro lo scafo del Gladian, ruzzolarono da lato a lato della via.
    Si ritirò ancora di più alle spalle del carrarmato, imprecando sottovoce. Hahàva si scoprì per un momento, scoppiando una corta raffica all’indirizzo della Casa del Popolo. L’alta frequenza del Merovech sfrigolò a mezz’aria, riempiendo la strada di brevi e rabbiosi schiocchi di frusta. La risposta le fioccò tutt’attorno, insistendo a picchiare l’asfalto. Una stringa di spari risalì in lungo il Gladian, sprigionando vampate di calore e nulla più.
    Un’altra ventina di colpi volò fin troppo alta, forando in più punti una staccionata che delimitava il confine d’una delle villette a schiera stanti alla loro sinistra.
    Hahàva rispose al fuoco. Scoppi di polvere e frammenti caddero giù dalla facciata e il fuoco di risposta cominciò a fioccarle vicino, spingendola al riparo. Alzò il fucile oltre il profilo della poppa e tirò il grilletto, esalando un’altra fitta scarica.
    «Conserva le munizioni!», gli urlò Ièn. Il loro tiratore si era inginocchiato. Aveva tolto le lenti protettive dal mirino e rimosso la sicura. Si portò per un quarto allo scoperto, senza alzarsi in piedi, per esplodere un paio di colpi. Un frantumo di finestre insorse dalla Casa e un aurelico precipitò giù, sbattendo a corpo morto sul colonnato d’ingresso.
    Ièn tornò al riparo.
    Quando la compagna di squadra cessò il fuoco, Aurelios avanzò di mezza falcata fuori dalla copertura del Gladian, alzando l’Accatran contro la spalla.
    Il terzo piano era abbastanza sopraelevato da consentire quei tiri, senza mettere eventuali fucilieri troppo allo scoperto in posizioni vulnerabili come il quarto o il quinto piano. Inquadrò una delle finestre e strattonò il grilletto. Un terzetto di spari scoppiò fuori dalla canna del suo las-fucile, esplodendo in rapidissima successione contro il cornicione e il vetro.
    Tirò altre due brevi raffiche, mirando ad altrettante finestre, prima di arretrare a sua volta al sicuro, dietro al carrarmato. Il fuoco aurelico si stava affievolendo. Forse stavano ricaricando, oppure si erano decisi a smetterla per il momento. Senza celle energetiche Hotshot, o colpi super-caricati, una manica di las-fucili non poteva fare molto contro un mezzo corazzato.
    La conduttrice del mezzo gladiano si girò a seguirli con lo sguardo, stringendo a sé lo scudo balistico della sua Draken brandeggiabile. Due fucilate ci esplosero contro, sprizzando vampate di scintille e minuscoli frammenti d’acciaio.
    Va bene, sono degli idioti in preda al panico.
    «Com’è che non rispondete sul Vox?» Disinnescò la sicura tirando indietro la leva di blocco e sblocco, poi rilasciò una scarica di risposta sull’edificio. Una dozzina di bossoli ruzzolò sull’asfalto, tintinnando man mano più lontani.
    «Quello del nostro operatore?», s’inserì Ièn, alzando la voce per farsi sentire sopra al continuo, scoppiettante borbottio del motore e gli spari. «I potsarazi gliel’hanno danneggiato, siamo alle onde corte!»
    Il canale a breve gittata crepitò. «Test audio, test audio.»
    Era stato un uomo a dire quelle parole. Il suo Gotico Basso aveva lo schivo accento di Gladius, ma salvo quell’elemento, era molto grigio e comprensibile. «Test audio, ripeto. Qui parla Prelator-Fiftvs. Alleati, ricevete?»
    Salendo dal basso, una fucileria impattò sullo scafo del carrarmato gladiano. I dardi laser esplosero uno in fila all’altro, proiettando brillanti scintille. Aurelios si chinò sulle ginocchia e sgomitò dietro la prua, ordinando ai suoi due sottoposti di mettersi al riparo.
    Si sporse da dietro l’angolo e, di nuovo, tirò il grilletto all’indirizzo delle finestre. Attraverso il puntatore vide scoppi di vetro, già ridotti in frantumi dalle scariche precedenti, e scheggiate briciole di calcinacci. Una sagoma gli passò davanti e subito Aurelios spinse indietro il grilletto, rilasciando un nuovo sparo. Gli sfuggì, scorrendo a lato veloce e china.
    Dallo Hypaspista s’alzò una fitta raffica di pesanti calibri transuranici; l’angolatura della Casa del Popolo esplose in mille sbuffi diversi, tutti sparpagliati all’inseguimento degli scatti meccanici dell’arma. Jason zigzagava, portando il suo tiro da una finestra all’altra.
    Con un pesante cigolio, il portellone del Gladian si aprì.
    Aurelios l’accennò ad Hahàva con uno scatto del viso e la commilitona si spostò per non finire sbattuta per terra. Con lei pronta a coprirgli le spalle, e lasciando l’angolo di tiro che dava in modo diretto sulla strada a Ièn, Aurelios s’affacciò sull’interno del carrarmato.
    Le luci delle strumentazioni di bordo ridussero all’istante la polarizzazione del suo elmetto. Il vano centrale era attraversabile fino all’alcova di guida, ma il pavimento era colmo d’ogni sorta di ciarpame imbarcato dall’equipaggio. Casse di munizioni, viveri in scatola, acqua in bottiglie, batterie di ricambio, teli mimetici e kit di primo soccorso lo tappezzavano.
    Chino alla sua batteria di cogitator e pannelli, l’operatore Vox gli allungò una cornetta cablata. «Qui, ellys! Abbiamo una linea con il vostro macinino!»
    Egýt...
    «Cazzo, siete fantastici!» Abbassò la testa per non urtare qualcosa, infilando il piede tra un involucro di plastica con dodici bottiglie d’acqua e un paio di scatole di granate. Si rese conto che aveva sete e che quelle bottiglie erano molto appetitose, ma non si fermò: strinse la cornetta tra la spalla e l’elmetto, cercando al tempo stesso di non ingarbugliarsi con la tracolla dell’Accatran. «Qui Vang-Primvs A, da Prelator-Fiftvs. Vang-Primvs B, ricevete carro-carro?»
    La donna di prima s’affacciò giù dalla coffa: «Oh, spicci. Non restiamo fermi.»
    «Chiaro.»
    Lei grugnì qualcosa piegando la testa e fece per tornare in cima, ma si ricredette. Corrucciò la fronte, come combattuta, e poi si sporse, stendendo il braccio a pugno chiuso. Colto il segnale, Aurelios si sbracciò in avanti e incontrò le sue nocche con le proprie. «Gloryh, paras. C’eravamo anche noi a Chernobasa con voi, OK?»
    Aurelios annuì. Aveva ragione, ora che ci faceva caso.
    Nessuna unità aviolanciata durava tanto senza il supporto pesante. Senza i Gladiani, non avrebbero potuto aprire una strada per arrivare fin lì. «Vang-Primvs A, da Prelator-Fiftvs. Vang-Primvs B, ricevete lungo linea carro-carro?»
    La voce di Yethan, l’operatore vox interno all’equipaggio dello Hypaspista, attraversò gli scatti della fucileria e crepitò fin alle sue orecchie: «Vang-Primvs A da Prelator-Fiftvs, qui Vang-Primvs B via Khypat-C. Riceviamo forte e chiaro. Ringraziate i compagni Gladiani da parte nostra!»
    Come un sol uomo, l’equipaggio del carro batté i propri pugni contro la scorza interna del loro mezzo, grugnendo con roco entusiasmo. «Uuh-ah!»
    Ma non è spathis, questa?
    Un segnale acustico di schermatura lo costrinse a spingere la cornetta lontana dall’elmetto. Aspettò che il fischio fosse passato, poi la riportò sulla spalla. «Tranquilli, sarà fatto. Statvs: non ricevete perché il Vox di Tiber è danneggiato.»
    «Tiber! Hemer!» sbraitò Jason dalla cupola, facendosi sentire forte e chiaro anche sopra agli scambi di spari tra la sua mitragliatrice e gli aurelici all’interno della Casa. «Dove cazzo hai la testa? Questi stronzi ci hanno assordato, te ne sei accorto?»
    «Oops...» disse lui, la sua voce lontana come un sussurro.
    «Passatemi Sirio.»
    In sottofondo ci fu uno scalpiccio, seguito dal rialzarsi della cornetta. «Oy, phrà. Avanti tutta.»
    «Abbiamo alleati in loco.» Avere un vero mezzo corazzato in campo cambiava le carte in tavola. «Facciamo andare avanti loro.»
    «Il Glad, vero?»
    «No, il Baneblade che ti sei messo nel culo. Sì, il Glad.»
    «Buono», rise lui in sottofondo ad una manciata di spari laser. Si schiarì la voce, tornando serio: «Allora noi prendiamo l’ala destra e risaliamo da lì. Com’è la situazione a livello civili?»
    Dopo aver scambiato un cenno con l’operatore vox del Gladian, Aurelios prese a tamburellare sulla tracolla del suo Accatran. «Alta densità di locali. Pochi uomini; i Severan non hanno sgomberato donne, anziani o bambini dal luogo.»
    «Yoh, mataphack stul m’coums...» disse il gladiano al Vox, ridacchiando sotto i baffi. «Brau, diamoci una mossa. Ci tirano addosso.»
    «Già.» Strinse la cornetta all’elmetto. «Vang-Primvs B, continuate su questo canale. Abbiamo unità alleate in arrivo allo scivolo dalla Provincialii. Ci muoviamo per collegarci. Prossimo aggiornamento in quindici minuti, plvs.»
    «Plvs-plvs. Viriamo sul fianco interno, c’è copertura tra gli edifici. Prelator-Fiftvs, hai la op-lead.»
    «Copiato, siamo op-lead.»
    In quel momento, il cannoniere del Gladian spuntò dal fondo del suo cubicolo. «Dai, paras! Facciamogli il culo!» Era sporco d’olio e grasso dalla testa fino alla cintola, ma c’era della grinta entusiasta nella sua voce.
    Aurelios riconsegnò la cornetta all’operatore.
    Occhieggiò di nuovo le bottiglie d’acqua, e l’operatore gli fece cenno di approfittare senza fare complimenti. Ne staccò due dalla confezione e sgusciò fuori dal mezzo tenendole sottobraccio. Le posò sull’asfalto, girandosi per aiutare i servo-sistemi del mezzo a riportare il portellone in posizione di blocco.
    Il corazzato sbuffò in avanti, sferragliando sull’asfalto. Riportandosi al fianco destro, che Ièn gli cedette per tornare all’ala sinistra, Aurelios tornò ad agganciarsi al mezzo in movimento.
    La botola in cima alla torretta si alzò.
    «Attenti, là dietro!» La conducente scandì le sue parole. «Copritevi i timpani, OK?»
    «Chiaro!» Le fece segno d’intesa con il pollice alzato e lei, subito, si rintanò all’interno del mezzo, tirando la botola dietro di sé.
    Dallo scafo ruzzolò a loro uno scatto d’acciaio e lo smuoversi di qualcosa. Stando al passo con il carrarmato, Aurelios abbassò la visiera del suo elmetto. Lo schermo ripristinò la polarizzazione, scurendosi in un batter d’occhio.
    Ièn e Libri fecero lo stesso.
    Sciorinando un lamento meccanico, il cannoncino di supporto regolò il proprio alzo d’una manciata di gradi, portandosi in linea di tiro con il fronte laterale della Casa del Popolo. Volevano sparare con quello, invece che con l’obice principale?
    Alzando il collo, Aurelios strizzò gli occhi; il cannoncino era un modello a catena automatica, più sottile dell’arma principale. Il suo calibro non poteva essere più di un quarantasette millimetri, ma vecchie tracce di bruciatura presso la via d’uscita dei bossoli gli davano l’idea che fosse un’arma a tiro elevato. La runa Mechanicvm d’avviso per il pericolo radioattivo era impressa sull’infossatura della canna, in tinta nera, sopra alla mimetica blu scura e grigia a macchie sparse.
    Il meccanismo di sparo s’innescò con un pesante, netto ruzzolo d’acciaio e ingranaggi. Le vibrazioni date dal rinculo gli sbatterono contro la spalla, strappandogli un’imprecazione di sorpresa dalle labbra. Scosso dai suoi spari, il cannoncino automatico s’illuminò; la prima scarica, sette tonfi uno subito dietro all’altro, fuoriuscì urlando uno schiocco di frusta.
    La loro volata non durò neanche un momento, incendiata a luie viva dai traccianti esplosi al terzo e sesto colpo: sulla facciata laterale della Casa esplosero dei crateri incavati e fumanti, con tutt’attorno ragnatele di pareti sgretolate.
    Le vibrazioni cessarono. L’eco dell’ultimo colpo si disperse, già debole abbastanza da venire scavalcata da grida e spari laser.
    Sprizzando fumi grigi, i bossoli esausti erano rotolati sull’asfalto. Avanzando alle spalle del carrarmato, Aurelios li occhieggiò prima di squadrare la cupola. La botola si risollevò con un cigolio e la conduttrice uscì, riparandosi dietro allo scudo della brandeggiabile.
    «Okay, fulks! I ratti terranno la testa giù per un po’! Andate a prendere i terrucolis
    Toccò lo spallaccio di Ièn con un colpo del pugno e il tiratore scelto lo sostituì, per una seconda volta, sull’angolo di tiro. Hahàva arretrò d’una falcata, spazzando l’ala sinistra con scatti precisi, corti e controllati del suo Merovech-Pattern d’assalto.
    La via era libera. Raccolse le bottiglie e, con lei al fianco, Aurelios tornò al cassonetto e da questo scattò di nuovo verso la fine della discesa. La risalì per alcuni passi, entrando di slancio dentro al camminamento blindato che era riservato ai pedoni. Insieme risalirono una rampa di gradini fino al cancelletto che aveva sfondato prima e lo attraversarono, incrociando per il corridoio ghierato. Dall’altra parte, sul pianerottolo che precedeva il pannello di controllo distrutto, c’erano tre soldatini terrestri.
    «Statvs, phràs», gli disse posando le bottiglie sul pavimento. Quella più esterna esplose in una bolla di vapore e fumi di plastica. L’acqua sfumò a contatto con il metallo, alzando strette dita di vapore grigio.
    I tre terrestri si precipitarono a terra, con le mani a coprirsi gli elmetti e gli occhi sbarrati. Ièn sospirò attraverso il respiratore del suo elmetto, mentre Hahàva balzò in ginocchio. Inforcò il suo las-fucile d’assalto contro lo spallaccio e si piegò in avanti, appoggiandone la canna alla ringhiera.
    «Ghyma ‘ha ryegha ‘hkzunnà!» sbraitò, esplodendo una fitta raffica di risposta. Due colpi di controbatteria sbatterono contro una delle colonne alla sua sinistra e tre spari scheggiarono la cresta dell’inattivo pannello di controllo, alzando colate di scintille e lapilli rossi.
    Imbracciata la propria arma, Aurelios si unì a lei nel fuoco di soppressione sulla casa. Pochi attimi dopo, il cannoncino del Gladian MBT tornò a farsi sentire e un rullio di tuoni investì l’edificio.
    La fucileria aurelica cessò di colpo.
    «Sono morti?», chiese uno dei tre terrestri. I suoi due commilitoni lo guardarono, spostando poi i loro occhi su Aurelios. Sì, erano proprio truppe di seconda linea.
    Che cosa ci facevano lì?
    «No.»
    Riportò l’arma in condizione di sicurezza, tendendo l’orecchio al ritmo dei colpi esplosi dall’auto-cannoncino. Un frammento di cornicione crollò a terra, frantumandosi in un’ondata di frammenti e un muro di polvere.
    Due sirene antifurto presero ad ululare. Sul canale ad onde corte si rincorsero le risate sia del loro Hypaspista che del Gladian.
    «Già, si saranno buttati al riparo», aggiunse Ièn. Diede al cambio ad Hahàva, che rapida indietreggiò sul versante interno del camminamento.
    Di sottecchi, lei squadrò i tre terrestri. «I fucili sono fatti per sparare.»
    Non dissero niente, rimanendo sdraiati a terra. Erano armati, e nemmeno con arnesi di bassa o infima qualità; i loro erano Kantrael Terra-Pattern, in formato corto. Di certo non erano i las’ più potenti e versatili di tutto l’Imperivm, ma erano buonissime armi.
    Il problema, lì, erano le mani a cui erano stati dati.
    La compagna di squadra sganciò la prima cella energetica dalla cassa del suo Merovech e la cacciò in una giberna. La sostituì con un’identica fresca, spingendola dalla culatta per assicurarsi che s’incastrasse per bene nell’arma.
    Ièn verificò la propria arma, poi alzò la testa. «C’è mancato poco, sarj.»
    Già...
    Staccandosi dalla ringhiera, Aurelios afferrò il colletto del soldato terrestre più vicino, costringendolo a rialzarsi. Gli urlò di stare bassi e poi gli indicò la scalinata interna con un cenno della testa. Lungo entrambi i suoi fianchi, la salita era protetta da una mezza parete. Non avrebbe fermato niente di più pesante di una fucilata laser, ma era di gran lunga meglio di una ringhiera.
    Si piantò in mezzo, lasciandoli scorrere alle proprie spalle. Hahàva li incalzò, fermandosi ogni tre passi per circoscrivere l’area con brevi arcate. Ièn passò per penultimo, l’indice pronto e appoggiato vicino alla scocca del mirino.
    Aurelios annuì a sé stesso e sospirò dalle narici. Il fiato sbatté contro il tessuto del passamontagna, ristagnandogli contro la bocca. Quella giornata non voleva proprio saperne di diventare più semplice. Poco male.
    Raggiunse la scalinata, assicurandosi all’interno del lato sinistro. I gradini di metallo sussultavano sottovoce, scossi da una continua vibrazione. Guardando alla strada, vide il loro Hypaspista che scorreva in retromarcia, lasciando la testa dell’attacco al Gladian. S’infilò in quel che rimaneva del loro muro fumogeno e tre tonfi rimbrottarono per la via, precedendo il volo in alto di altrettanti ordigni fumogeni. Scoppiarono una decina di metri davanti alla prua, alzando presto un nuovo, denso muro di fumo.
    E il sussulto meccanico del loro mezzo si spostò a destra, infilandosi in una calle tra tra due case. Gli spari aurelici, disorientati dai fumogeni, si concentrarono sullo scafo del Gladian. Non era un problema, però; lui poteva incassarli senza difficoltà.
    «Allora, statvs?»
    Il più giovane dei tre terrestri, un ragazzo imberbe e pallido, drizzò la testa. «Ventesima Squadra della Quarta Compagnia, signore!» S’irrigidì come in parata, alzando il braccio verso la testa. «Sessantasettesimo Reggimento delle Guard...»
    Hahàva gli afferrò il polso, fermandolo. I suoi due compagni si bloccarono, incerti se alzare le proprie armi o restare fermi a non fare niente. «No
    Il giovane terrestre la guardò, scioccato e dubbioso. «Ma è un sergente!»
    «Appunto
    Aurelios le segnò di lasciarlo andare e lei eseguì. Era il caso di stemperare la situazione. «Sulla linea non si salutano ufficiali o sottufficiali, ragazzi. Non ve l’hanno insegnato?»
    Il ragazzino abbassò gli occhi, come se punto nell’orgoglio. «No...»
    Phack. «Bene, ora lo sapete. Poi, non tirate su una litania. Quanti siete e con cosa?»
    «Noi tre come avanguardia.» Tre fucilieri sprovveduti. Che grande avanguardia. «Sopra abbiamo un Toxotoì e c’è un Samaritan degli Zevona. C’è anche un Chimera dei Gladius.»
    Aurelios sbatté le palpebre. Tre mezzi in un’area così ristretta e con poco spazio di manovra? Nessuno aveva pensato a quanto sarebbero stati goloso come bersagli per una qualsiasi squadra armata con razzi anticarro? «E con tutta questa schifosa potenza di fuoco voi venite avanti alla spicciolata? Ma siete dei rincoglioniti?»
    E perché avevano un Samaritan? Lo mettevano a rischio, così!
    I tre si guardarono tra loro, prima che il più giovane s’azzardasse a rispondergli: «Così ha ordinato il capitano Marvelon.»
    Aurelios occhieggiò a Ièn, che strinse le spalle. «Venti Troni che è come dice Kevin.»
    Oppure peggio. Se quello era davvero il suo nome, allora i suoi genitori non dovevano averlo amato molto, da piccolo. Chi chiamava il proprio figlio con un nome tanto simile a Malevelon? «Tact-Impeb.»
    «Sì. Allora, ci stai?»
    Bah, tanto lo stipendio mi fa schifo. «Andata. Venti che è un T-I.»
    Dei tre terrestri, a parlare fu un uomo basso e grigio di pelle. «Un che, signore?»
    «Niente», lo tranquillizzò Aurelios. «E non perdere tempo con i gradi. Ora, avete un Vox con voi?»
    «Sì, è sul Toxotoì.»
    «Oh, per Rogal Dorn...» Avanguardie senza una linea di comunicazione diretta. Con cosa volevano comunicare, i segnali di fumo?

    La situazione allo scivolo era molto, molto peggio di come gli era stata descritta.
    Il Toxotoì aveva preso la testa della manovra, arrancando fino all’inizio della discesa. E si era inchiodato lì, con la torretta rivolta, in maniera del tutto inutile, alla parete destra. Al più, guardava al cul de sac della strada, se non al di là dello stesso. Lì, una linea di azzurrini alberi spezza-vento si fermava presso una recinzione verde, al di là della quale c’era un percorso sterrato. Un punto legittimo da tenere sotto osservazione, se soltanto gli aurelici non fossero stati nella direzione diametralmente opposta.
    Se non altro, il Toxotoì era stato camuffato con una colorazione mimetica adatta e varie reti protettive. Massiccio e blindato com’era, spuntava con estrema facilità sopra ai profili già alti tanto del Chimera che del Samaritan.
    E proprio quei due messi erano rimasti bloccati in coda, il primo all’altezza del gabbiotto del sorvegliante e il secondo in mezzo alla corsia d’andata della Provincialii. Un’ambulanza in campo aperto, esposta ad ogni e qualsiasi tiro sarebbe potuto arrivare dal fondo della strada.
    L’ufficiale in comando dei terrestri era, dalla cintola in su, in piedi nella coffa del Toxotoi. Si guardava tutt’intorno con l’aria di chi la sapeva lunga, forse in cerca di una soluzione a tutti i problemi che si era fatto da solo. Li vide risalire e schioccò un saluto, forzando Hahàva ad esalare uno stanco sospiro.
    «Capitano Marvelon Tyarho, Quarta Compagnia del...»
    Ièn accelerò, prendendo il controllo dello scivolo. Segnò che il transito era sicuro e Aurelios lo scavalcò, allungandosi verso il Toxotoì.
    «Abbassi la mano, signore!»
    Il capitano aggrottò la fronte e tornò con ambo le mani sul bordo della sua coffa. La brandeggiabile, con il suo bellissimo e soprattutto efficace scudo balistico, era ancorata alla sua destra, inutilizzata. Una volta raggiunta la prua, Aurelios alzò lo sguardo per incontrare quello dell’ufficiale.
    Aveva piccoli occhi ambrati. «I suoi dicono che avete un Vox.»
    «Sì.» Sul capo indossava un basco verde e lungo uno degli spallacci gli pendeva un corto mantello cerimoniale, bianco e rosso. Se ci avesse dipinto un bersaglio sopra, avrebbe fatto prima. Sia i Severan che gli aurelici avevano i mirini e i tiratori scelti, non lo sapeva? «Ne ha bisogno, sergente?»
    «Mandate un ping sulle onde-corte, signore. Abbiamo un Gladian in strada, è il lead-up dell’attacco. Gli aurelici sono barricati all’interno della Casa del Popolo.»
    «Ah, ratti in trappola», commentò con evidente soddisfazione. E senza chiedere dove, di preciso, fosse questa Casa del Popolo. Quello, però, era scusabile. Forse disponeva di una mappa, oppure ne aveva capito l’ubicazione prendendo spunto dal punto in cui sia lo Hypaspista che il Gladian avevano sparato. «Su che frequenza vi trovo?»
    Aurelios occhieggiò al proprio bracciale, girando il braccio per accedere alla placca interna. Lo sapeva a memoria, ma controllare era sempre meglio. «V-VP2164-1, 1247-04042024.»
    «Ajax!», tuonò il capitano, scavalcando il bordo della coffa e scendendo lungo la prua del suo mezzo. Con una mano sull’auricolare a corto raggio, riportò le coordinate al suo operatore Vox e poi tornò a squadrare la discesa e l’ingresso alla stessa. «Informate il Gladian che può arretrare al nostro arrivo; una volta in posizione, assumeremo il lead-up dell’attacco.»
    Aurelios s’accigliò: «Signore?»
    Quell’interruzione gli suscitò un sopracciglio inarcato. «Sì? Parli pure, sergente.»
    No, non aveva proprio capito niente. Aurelios sollevò una mano all’altezza del fianco, come a chiedere spiegazioni. «Il Gladian è un carrarmato, signore.»
    «Ah-ah. Ne sono cosciente, ma vada avanti.»
    «Voi avete un VPIC.» Il Toxotoì era un cane arcigno, senza alcun dubbio. La sua sagoma rimandava al Chimera, del quale forse era un parente derivato. Però restava un veicolo da combattimento per la fanteria, al più il cugino brutto di un Chimedon fortificato. «Siete sicuro del vostro ordine?»
    Quella domanda doveva averlo punto, perché lui s’irrigidì. «Certo. Un ufficiale comanda senza dubbi. Un soldato esegue senza riserve.»
    Ièn si coprì il visore con la mano.
    «Capitano?»
    «Dica, sergente.»
    Aurelios gli si avvicinò d’un altro passo. «Non sappiamo di che armamenti siano in possesso questi aurelici, ma potrebbero avere degli anticarro. Il Gladian ha la reattiva. Il suo mezzo no. Lei è sicuro di voler fare arretrare il carrarmato?»
    L’ufficiale intrecciò le mani dietro la schiena. «Sta discutendo i miei ordini, sergente?»
    «No, no, certo che no.»
    «Ah, ci mancherebbe.»
    «Tuttavia, vorrei...» Mi serve una puttanata efficace. «Confermare all’equipaggio del Gladian il check-up operativo-componente della sua colonna, capitano. Così da informarlo precisamente su quali unità andrà a coprire una volta che avrete giustamente assunto il lead-up dell’operazione tattico-strategica attualmente in corso.»
    L’ufficiale assentì con infinita gravità. «Molto bene, sergente. Sono al corrente della fama di cui gode la vostra unità, quindi sono certo che sarete rapido. Procedete pure.»
    «Sì, signor capitano Malevolon
    «Marvelon.»
    Sicuro? Sgusciò via senza prestargli attenzione. Hahàva venne con lui, lasciando a Ièn il compito di mantenere una forma di retroguardia al principio della discesa. Rallentò il passo per dare tempo alla compagna di squadra di raggiungerlo e, quando lei fu al suo fianco, attivò il sistema ad onde-corte tra i loro elmetti. «Capitan Malevolon è un coglione.»
    «Ho colto», bofonchiò lei rimettendosi il Merovech a tracolla. Un passo dopo lo guardò di sottecchi. «Ma sul serio si chiama così?»
    «Ah, boh!» Marvelon? Malevolon? Uno valeva tanto quanto.
    Il Chimera dei Gladius era un buon quindici metri in coda rispetto al Toxotoì, presso il gabbiotto del metronotte. La squadra a bordo si era divisa in due tronconi, con una metà che si era disposta a costituire un perimetro attorno al mezzo.
    L’altra metà era rimasta tra il portellone d’uscita e la torretta.
    Il loro Chimera era un modello ruotato. Dipinto a strisce blu, grige e nere come il Gladian, doveva esserne il paio di supporto e assalto. Approcciandolo, Aurelios lanciò un cenno alle proprie spalle. «Oyàh, fulks. Chi di voi è in comando?»
    Un sottufficiale come lui rispose con uno sbuffo all’indirizzo del grosso veicolo terrestre. «Beh, in teoria quell’immenso coglione. Se no, il sottoscritto.»
    Aurelios gli offrì una stretta d’avambraccio, che il gladiano ricambiò con vigore.
    «Aurelios Markhairena, sergente veterano. Cento-sessantaquattresimo Elysia.»
    «Klayton Garvo, sottotenente di prima classe. Ventunesimo-Sedicesimo Meccanizzato di Gladius», gli rispose, lasciandolo andare dopo un momento. «È bello rivedere voialtri ragazzi di El’ena.»
    «Lo stesso vale per noi. Ascolti, il capitano...»
    Klayton alzò gli occhi al cielo. Indossava l’elmetto da combattimento, ma la visiera era sollevata. Sulla sua panoplia c’erano stinte tracce di combattimento, probabilmente ottenute durante le prime fasi dell’avanzata a Chernobasa. «Che dici, Elysia? È inabile alla vita?»
    Quello prometteva bene. «Non solo...»
    Gli occhi grigi del sottotenente si strinsero: «Attento a come procede, sergente. Le vorrei ricordare che se dovesse dire qualcosa di pericoloso o incline alla sedizione, soprattutto in un teatro operativo prono alle infiltrazioni separatiste quale lo stante presente, io potrei essere tenuto a riferire nel mio rapporto...»
    Aurelios chiuse e riaprì gli occhi, allungando la sinistra all’impugnatura del suo Accatran-Pattern. No, non potevano essergli capitati due idioti uno in fila all’altro, per l’Imperatore-Dio e tutto il Pantheon della Svper Sacra Terra.
    L’ufficiale gladiano lo sorprese, stringendogli le spalle con il braccio e facendogli abbassare la testa. In quello stesso momento, con i loro elmetti che si toccavano, Klayton scoppiò a sorridere sornione, quasi come se fosse un gatto che aveva appena visto una preda. «Dicevo, riferire nel mio rapporto in merito alla tua faccia da criminale. Allora, qual è il piano?»
    Cazzo, sì! «Toglierlo di mezzo prima che faccia morire metà dei presenti.»
    Klayton grugnì tra sé e sé. «Ci sta. Lo fragghiamo?»
    La tentazione era forte, ma l’ingresso dello scivolo aveva delle telecamere. Li avrebbero visti. «Potrebbero accedere ai circuiti chiusi. No, niente di così fatale. Io dico, mettiamolo K.O. E la colonna passa a lei. Che ne dice?»
    «Dammi del tu.» Il sottotenente squadrò la propria squadra, trovandovi più d’una solida espressione d’approvazione. I fanti meccanizzati, bardati con le giacche antischegge mimetiche e le las-carabine modello corto, occhieggiavano al Toxotoì già da alcuni attimi. «Hai idee su come procedere?»
    «Sì, ma prima vorrei vedere cosa ne pensano quelli del Samaritan.»
    «Ah, gli Zevona. Non capisco perché il genio li abbia lasciati in mezzo alla strada, è la nostra unica ambulanza a portata di mano.»
    «Appunto!» Sciolse le spalle muovendole avanti e indietro, quindi segnò ad Hahàva di restare presso il Chimera. Avrebbe impedito al capitano terrestre di cogliere che stavano complottando qualcosa, anche se per farlo avrebbe dovuto essere più intelligente di quel che era. Scalpicciando, Aurelios lasciò i gladiani alle proprie spalle.
    Tagliò attraverso la Provincialii, portandosi al più presto dietro i cingoli del Samaritan. Sulla mimetizzazione sabbia e celeste portava uno stemma, rosso e argento, da Ordo Hospitaller.
    Sororitae, quindi. Potevano essere più difficili da persuadere. La conduttrice era in testa alla cupola ed era, effettivamente, una Hospitaller in leggera armatura potenziata. Con sé, pendente da una tracolla, aveva un singolo fucile Requiem.
    Aurelios le segnalò la propria presenza e alzò il visore del proprio elmetto. «Buongiorno!»
    «A lei.»
    La rampa posteriore disinnescò i freni, calando presto sull’asfalto. Colto il punto, Aurelios scattò alle spalle del mezzo. Abbassò la testa, risalendo in fretta la rampa fino al percorso interno del blindato medico. Dentro lo scafo, diversamente da com’era per il loro Hypaspista e il Gladian, l’ordine regnava sovrano e assoluto, assieme ad effluvi d’incenso e un forte odore d’unguento igienizzante.
    Seduti sulle panche laterali c’erano due Hospitaller e tre infermieri, quest’ultimi con le mimetiche zevonesi in tinte fumose sabbia e celeste. Le Hospitaller si alzarono all’unisono, stando a testa china per non urtare il soffitto d’acciaio. Una indossava un paio di lenti scure, simili a degli occhiali da sola, ed era così bianca da sembrarle lattescente. L’altra aveva un velo bianco in testa, ma era più bronzea. A parlargli fu la prima, rivelando un modico accento zevonese. «C’è qualcosa che possiamo fare per lei?»
    «Mi servirebbe parlare in privato con la vostra superiore.»
    Quella bronzea strinse le spalle. «La remissione dei peccati è un rito dei prelati, soldato.»
    «Sì, sì, lo so. Il punto è un altro.»
    Pestando sui gradini della scaletta d’accesso, la conduttrice scese dalla cupola. Saltò giù dall’ultimo piolo, venendogli incontro a testa bassa e con una mano sulla cassa del Requiem. «Penso di sapere perché lei è qui, Elysia.»
    «Non sono ferito.»
    «L’ho notato. Senta, sergente… se non spara a quel passacarte della Terra, lo farò io.»
    Aurelios non poté esimersi dallo schioccare le dita. «Sapevo di poter contare su di lei, Sorella.»
    «Lo scansa-moduli ci ha ordinato di fare da retroguardia, ha bloccato il Chimera dei gladiushish e poi è rimasto bloccato davanti allo scivolo. Retroguardia con un Samaritan, si rende conto?»
    «Perfettamente.» Tuttavia, sparargli presentava alcune complicazioni. «Ma vorrei evitare un conflitto tra reggimenti, se possibile.»
    «Come se questi terrestri potessero battersi decentemente...», mormorò la Sorella con le lenti protettive. «È già tanto se sanno da che parte impugnare il fucile.»
    «Consorella Tarvya, parlerò io», la rimproverò la conducente. Le sue due sottoposte avevano delle pistole laser appese alla cintura, ma tutto il resto del loro equipaggiamento era di natura medica. «Avanti, sergente Markhairena. Dica pure.»
    «Prima di tutto… avete dell’acqua?»
    La conducente, che doveva essere la Sorella Superiore delle due, reagì alla sua domanda aggrottando la fronte, ma non fece domande. Sciolse gli allacci della sua borraccia dalla cintura e gliela porse. Ringraziato con un cenno del viso, Aurelios prese a ingollarne il contenuto.
    Avrebbe bevuto fino in fondo, ma togliere l’acqua ad una Sororitae sarebbe stato indecoroso. Si fermò dopo un paio di sorsi, asciugandosi le labbra con la manica. «Ah, grazie!»
    «Ci mancherebbe, acqua agli assetati...»
    «Erano ore che non bevevo.»
    Le due subalterne si scambiarono un’occhiata tra loro e quella con le lenti assentì piano. «Allora, come vuole agire con il capitano Pratica Tolusso


    Spathis: forma abbreviata di Spathian/Spathiano/Spathiankoi. Sono di un ricco, barocco e potente Sector nel Segmentvm Obscvrvs. Le loro lingue sono distanti cugine dello Ishtariko e del Haroniko. Aka... è basato sul bulgaro.

    Toxotoì: mantenendo la nomenclatura greca per la roba sia della Solar Auxiliia che del Mechanicvm, il Toxotoì è un prodotto derivato dallo stesso STC del Chimera. Esiste in formato artiglieria, l'equivalente del Basilisk, in formati noti come Archer, Paladin e simili.

    Terrùcolis: come i gladiani apostrofano i terrestri. Grossomodo, terristrucoli. Il nomignolo si è diffuso.

    Tact-Impeb: Tactica Imperialis Imbexil. Imbecille della Tactica Imperialìs, qualcuno che segue pedissequamente le istruzioni contenute in questi volumi, dimenticandosi che vanno adattate alla situazione e prese come ispirazione, non come regola generale.

    Samaritan: Chimera adibito a trasporto medico.

    Yoh, mataphack stul m’coums!: "Oy, motherfucker stole my comms!". I Gladiani, lo cogliete anche dall'uso di OK, parlano un qualcosa effettivamente derivato da un inglese molto corrotto e contratto.


    Edited by dany the writer - 4/4/2024, 23:14
     
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