Valorchives

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  1. dany the writer
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    Verona, Imperium dell'Uomo

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    Capitolo I-C
    Yašir Ilastass, 67esimo Guardia di Sol




    +++Segmentvm Obscvrvs
    Hera-Amiir Sector

    Espansione di Zaqqurava
    Sistema Stellare di Hervara

    Hervara IV-B, Mondo-Civilizzato
    Continente di Invyyere

    Portal Danòrra, 208.2 chilometri SO da Negemyn
    M42.Y022+++


    Disposte a sinistra dell’ingresso al piano terra del grande magazzino, due robuste fila di lastre di marmo prendevano polvere. Erano state abbandonate lì chissà quando, in uno stato che non poteva non trovare a dir poco penoso.
    Se i suoi uomini le avessero trovate abbandonate alla rinfusa, rotte o deturpate da qualche saccheggio, sarebbe stato più comprensibile. Triste, sì, ma almeno accettabile.
    Erano tutte pronte per la spedizione.
    Imballate con precisione e allineate, sempre con precisa diligenza, in omogenei gruppi di quattro sui loro bassi pallet da carico, attendevano invano sotto al sorgere dei due soli di quel mondo.
    I muletti da carico e scarico erano stati lasciati nei loro stalli, ancora connessi via Rites USB alle colonnine elettriche municipali. L’ultimo login annotato e salvato nella memoria dei loro registri di servizio risaliva, ormai, a più di quattro settimane prima.
    Dei Civis-PWLF, invece, non c’era alcuna traccia. I Severan, maledetti separatisti, dovevano esserseli presi e portati via. Stringendo la destra alla tracolla del suo fucile, Yašir sospirò; era probabile che li avessero già trasformati in Sentinel improvvisati, armandoli con qualche las-cannone e montandoci delle piastre per corazzarli. Avrebbe fatto lo stesso se fosse stato nei loro panni.
    S’incamminò, risalendo la lunga linea di materiale abbandonato. Strinse il bavero del giaccone mimetico da fatica, alzandolo contro le guance per proteggerle dal morso del vento. Era freddo e pungeva quando la corrente s’alzava, ma aveva un sapore particolare; sapeva di umido, e di legno ancora vivo e di semplice, brulicante prato.
    In un certo senso, era vivo. Il vento della Sacra Terra era sì più caldo e denso, ma aveva con sé solo note d’incenso, oro e roccia.
    Scacciò quei pensieri e s’inginocchiò presso uno dei pallet. Agguantò le cinture di sicurezza e tirò a sé, facendo scorrere l’etichetta. Incastonata in un pannello di plastica, questa scivolò fin alla sua mano. La sollevò per leggerla.
    Gettò a terra l’etichetta e si rialzò. Chiunque egli fosse, mish’r Hyeronimo V’ Thuul di Augusta Macharia non avrebbe ricevuto tanto presto le sue mensole da bagno. Se aveva i soldi per permettersele, però, probabilmente non aveva bisogno. Spazzò con il dorso della mano la testata d’una delle lastre, sparpagliando un mezzo dito di polvere e qualche foglia secca.
    Sorrise tra sé e sé a leggere il nome inciso sul marmo. Era stato tracciato in nitidi caratteri Alto Gotici, ma aggraziati da un buon corsivo.
    Isabel.
    Guardando meglio quelle lastre, di base rosate con leggere sfumature d’oro, verde foglia e azzurro in motivi marini, Yašir si ritrovò a scuotere la testa. Poteva sbagliarsi, ma da quel che vedeva, quelle avrebbero dovuto essere un regalo.
    Che peccato. Presumo che ne farà a meno…

    Il suo auricolare s’animò, pungendogli il timpano destro con una lama di statica. «Qa’yat, mi ricevete?»
    Schiacciò subito la runa d’attivazione. «Avanti, Joris.»
    Un tremolio di scarico attraversò la linea. Più si allontanavano da Chernobasa e più le comunicazioni perdevano di qualità. Aveva già riportato il fatto al Comando, ma non era dell’idea che questo avrebbe agito subito.
    Al momento c’erano altre priorità.
    «Qa’yat, abbiamo una situazione», riprese Joris. Enfatizzò quell’ultima parola, senza urlarla o dare evidenti segni di malcontento. «Potete rientrare?»
    Lontani boati rintoccarono nel cielo. Occhieggiando sopra di lui, calcolò che provenissero da qualche parte a nord. Artiglieria a lungo raggio, missilistica o balistica che fosse. Oppure era stata una salva di cannoni esplosa da parte del loro supporto atmosferico.
    Ad ogni modo, restare a lungo allo scoperto non era una buona idea. «Affermativo, sono subito da te. Puoi dirmi di che si tratta?»
    «Sì, mio signore. Abbiate un momento di pazienza...»
    Lasciò le lastre al loro abbandono, girando i tacchi e tornando indietro sui suoi passi. Palleggiò l’elmetto qualche volta sul palmo della mano, ascoltando i suoi bruti rintocchi. A breve avrebbe dovuto cambiarlo, perché cominciava a mostrare tutte le sue cicatrici. Sul versante sinistro della cupola, un dardo di blaster sfrecciato a bruciapelo aveva impresso una striatura nera e spellata sul metallo, oltre a strinargli il sopracciglio e lasciarlo abbagliato per due giorni.
    Un fiotto di schegge, dovute allo scoppio di una granata a frammentazione, aveva sdentato il fianco destro, incidendo passaggi ad alta velocità sulla pittura mimetica verde scura.
    In ultimo, giù a Chernobasa, un colpo di daga semi-potenziata gli aveva lasciato una concussione spaventosa per settimane, quasi spaccando in due tronconi l’Aquila Imperiale innestata in cima, un centimetro al di sopra dell’icona del suo grado d’ufficiale.
    La Sacra Insegna era sopravvissuta, l’emblema del suo rango no.
    «Joris?»
    «Sono qui, mio signore», disse il suo domus-rappresentante. «Una squadra di Elysiani del 164º ha trovato dei civili intrappolati.»
    «Civili?», che fosse ringraziato l’Altissimo sul Trono d’Oro della Sacra Terra, quella era sempre una bellissima notizia. Civili! Non solo voleva dire portare in salvo qualcuno, togliendogli dalla linea del fuoco, ma potevano sapere che fine avevano fatto gli altri. O quantomeno, potevano formulare qualche ipotesi su dove i Severan li avessero deportati.
    «Sì, mio signore. Sette anime.»
    «Meglio di niente.» Un huz’yàh per i ragazzi di Qirie El’ena. Da quel che aveva sentito, quelli del 164º erano stati tirati giù dalle brande e spediti in avanti, come avanguardia, non appena si era sparsa la notizia che i separatisti stavano arretrando dalla periferia di Chernobasa.
    Ormai dovevano essere esausti.
    «Abbiamo una linea diretta con loro?»
    «Mio signore...» La statica insorse, costringendolo a staccare l’indice dalla runa dell’auricolare. Strinse gli occhi e scosse la testa, poi spinse di nuovo il pulsante.
    «Joris?»
    «Mio signore, è meglio di persona.»
    «Capisco.»

    Vox-Jumbler e Scrap-Code. Qualcuno stava cercando di aprirsi un varco nella loro rete di comunicazioni e il buon senso di Joris era da seguire.
    Yašir agganciò il suo elmetto alla cintura e continuò a camminare a grandi falcate, rientrando presto nello sprazzo che giaceva al di là del cancello d’ingresso al magazzino. Durante la notte, gli uomini e le donne della sua compagnia l’avevano trasformato in un campo-base operativo e che ora pulsava e ronzava a pieno regime, spandendo un brusio d’elettronica e un alveare di voci.
    Scartò a destra per non incrociare l’angolo di tiro d’una delle due postazioni di tiro Tarantula montate al limitare dell’area di carico e scarico. I soldati impegnati a gestire quelle armi lo salutarono con dei brevi cenni del capo.
    Replicò al gesto, abbassando la testa per non farsi vedere. I saluti era meglio riservarli nelle retrovie. Lì dov’erano, a così poco dalla prima linea, potevano fornire un bersaglio utile a possibili tiratori scelti nascosti chissà dove.
    Lasciò le sentinelle al loro dovere e s’addentrò nella sottile penombra del magazzino. Aprì un taschino del giaccone e tirò fuori un pacchetto di sigarette marca Maurat. Se ne accese una e la inforcò tra i denti, respirando a pieni polmoni la prima fumata.
    Il cuore cerebrale della loro compagnia era stato parcheggiato in diagonale, alle spalle di due spesse colonne di sostegno. Ricoperto da una solida blindatura, l’Oculum Vigil gravava sul passare di qua e di là dei soldati della compagnia. Le sue paraboliche erano orientate verso il cielo e una foresta di cavi-dati si allungava dai suoi fianchi, connessa ad una mezza dozzina di batterie di cogitator da campo e generatori ausiliari.
    Dallo scafo pendevano ancora le reti mimetiche montate durante la marcia notturna. Toglierle era secondario, e il fatto che erano scure aiutava con la penombra. Ne scostò un lembo per entrare, salendo i gradini d’acciaio zigrinato.
    Chino davanti al tavolo tattico in centro all’autocarro corazzato, Joris si raddrizzò al suo ingresso. Un rapido irrigidirsi attraversò le altre anime a bordo.
    «Riposo.»
    Come ebbe detto quella parola, tornarono ai loro doveri senza proferire parola. L’aria condizionata appesantiva l’atmosfera con un sapore d’incenso e bronzo caldo, ma il motore attivo spandeva un buon tepore. Di certo era meglio del vento che soffiava all’esterno.
    «Allora, Joris? Che cosa abbiamo?»
    «Dieci minuti fa abbiamo ricevuto...», il suo secondo si volse a prendere una stampata, staccandola da un rotocalco incassato nella parete. La dispiegò sul tavolo e toccò un glifo, attivandone il proiettore olo-lithografico interno.
    Il testo si palesò a mezz’aria, verde su sfondo nero. «Ecco qui. Una richiesta di supporto da parte di Vang-Primus, che ci è stata passata dal loro Vang-Com. I Compagnia, Battaglione Valor.»
    Sì, erano proprio i ragazzi di El’ena. «Civili, hai detto.»
    «Sì, mio signore.»
    Joris si ritrasse e batté il pugno contro un bottone incarnato in una delle gambe del tavolo tattico. Il piano s’animò, proiettando ad un palmo d’altezza uno spaccato della Provincialii Via M.49. Preso uno stilo, Joris indicò un punto rosso sul panorama. «Qui.»
    «PODA/205-SO.»
    «È un cavalcavia a doppia corsia. Stando ai valorini...»
    «Sul serio?»
    «L’ho sentito usare riferendosi a loro, mio signore.»
    L’avrebbe lasciata passare, questa volta. Il suo occhio cadde sul thermos del caffè. Se ne versò tre dita in una tazza di ferro e ne ingollò subito un sorso. Era nero e amaro, ma almeno era caldo. «Ad ogni modo, perché ci chiamano? Vogliono un trasporto per sgomberare i civili?»
    «Sì, signore. Ma i civili sono intrappolati.»
    Posò la tazza. «Pardon?»
    Joris scosse il capo. «Non sanno chi sia stato, ma sono chiusi al di là di una porta tagliafuoco. La stanza, riporta Vang-Primus, è all’interno di un campo d’insonorizzazione. E c’è un OEI che li blocca dall’avanzare oltre.»
    Un Ordigno Esplosivo Improvvisato. «Di che stiamo parlando?»
    «Parrebbe un rasoio, mio signore.»
    Cingendosi il mento con la mano, Yašir rilesse il rapporto da cima a fondo. Per quale motivo insonorizzare una stanza dopo averla messa al di là di una trappola esplosiva? «Hanno localizzato l’innesco di questa trappola, tanto per cominciare?»
    «Sì. Gli occorrono dei genieri per bonificare l’area e liberare i civili.»
    «Ed è quello che avranno. Organizzo una squadra.»
    «Il cavalcavia in questione ha delle telecamere. Non saranno certamente d’altissima qualità, è una provinciale delle colonie, ma dovrebbero avere dei filmati in memoria. Il Comando ha ordinato che siano recuperati per essere soggetti ad analisi.»
    So dove va a finire, qui…
    «E vogliono che il recupero sia documentato e fatto da un grado affidabile, non è così?»
    «Mio signore...»
    «Va bene, va bene», lo zittì alzando la destra. «Andrò di persona con i genieri. Se il comando vuole questi filmati, vale la pena.»


    Trivia time
    Qa'yat: capitano in vernacolare terrestre. Yašir e Joris, come gli altri elementi della loro compagnia e del loro reggimento, sono terrestri. Nel terrestre ci sono diverse sonorità vagamente orientali.
    Domus-rappresentante: è un servitore di casata che accompagna il proprio signore in ogni evento. Siccome Yašir è stato richiamato, Joris è stato coscritto a sua volta come secondo e aid de camp.
    Oculum Vigil: è un auto-carro a dodici ruote attrezzato per fare da campo base e unità di comunicazione, coordinamento e mappatura a distanza. Si, insomma, è un TEWS imperiale.
     
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