Valorchives

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  1. dany the writer
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    Il tramestio dello Hypaspista li interruppe. Era tornato a macinare in carreggiata. Lasciando alle proprie spalle brevi e stinte sbuffate di promethivm esausto, veniva loro incontro.
    «Jynts!» Aurelios scoccò un cenno, indice e medio uniti e tenuti bassi, all’indirizzo del loro VPIC. Sirio e Hahàva si scossero, inginocchiandosi guardinghi ai suoi fianchi.
    «Plus, vi abbiamo in visuale», disse l’ultima, aprendo il canale Vox a onde-corte. «Qui abbiamo fatto. Niente da segnalare.»
    La statica di sottofondo venne meno, soprascritta dalla voce di Tiber. «Ricevuto, H1. Veniamo a prendervi. Salite su in fretta, passo.»
    «Ricevuto, plus plus.»
    Se non fossero stati in missione, con poco tempo per fare tutto alla bella e meglio, avrebbero dovuto trainare quel malconcio trabiccolo in un tempio-officina dell’Adeptvs Mechanicvm per i restauri e le santificazioni di rito.
    Hahàva abbassò la testa. «Taxi Hervara.»
    «Il servizio è scadenza, il trasporto è scomodo e non c’è rimborso in caso tiri le cuoia.»
    Sirio allargò le braccia: «Phrà, scusa... se muori come fai a chiedere un rimborso?»
    Eh... «Ah, beh’, non so. Tipo, possono chiederlo i parenti?»
    Lui tornò ad impugnare l’Accatran, scuotendo la testa. «Perché, pensi di averne?»
    «E che ne so.» Aurelios strappò una manciata di fili d’erba e la gettò da parte. «Pensavo che tu fossi mio fratello. Conta?»
    Ridacchiando tra sé e sé, Sirio strinse le spalle. «Forse...»

    Cigolando e negnando, lo Hypaspista continuava a guadagnare strada sul loro spiazzo. Era ancora troppo lontano perché fossero visibili, ma Aurelios sapeva dei suoi acciacchi e delle cicatrici che portava. Sopra alla gonna destra, una raffica di calibri blindati aveva lasciato impressa una bella catena di lividi ammaccati. Il loro impatto aveva spinto la corazzatura all’interno e sbrecciato la pintura, rivelando l’acciailuminium rinforzato sottostante.
    Il fatto che in qualche modo non fossero riusciti a sfondare e tritare le tre anime dell’equipaggio all’interno era stato un mezzo miracolo. Non era un mezzo pensato per stare a lungo sul ring e scambiarsi jab, ganci e portanti con i ragazzi più grandi e cattivi di lui.
    Il fronte sinistro della torretta era stato annerito dall’impatto di una granata a frammentazione, mentre uno dei fanali posteriori era scoppiato durante il loro sbarco.
    Danni riparabili.
    Da soli, li si poteva anche dire irrilevanti. Tutti assieme, facevano del loro Hypaspista un veterano malconcio e rappezzato alla meglio che, tuttavia, continuava a tirare avanti.
    «Taxi Hervara...»
    La bandiera issata in poppa dietro la cupola sbatteva, un po’ pigra, avanti e indietro, spiegazzata da un vento freddo. Annunciare la propria posizione era un’idiozia bella e buona, ma i soldati del Severan e i loro alleati usavano molto arsenale in comune con quello della Guardia Imperiale.
    O avevano installato produzioni proprie con qualche Mechanicvm complice, oppure avevano trovato e messo le mani su qualche arsenale abbandonato. La Crociata aveva fatto lo stesso in Korianìs.
    Aurelios guadagnò il ciglio della strada e prese posizione, spingendo il calcio del suo las-fucile Accatran contro la spalla.
    Flesse le dita per risvegliarle e poi tornò a sorvegliare la strada. Nessuna minaccia in vista.
    Alzò lo sguardo al cielo, attivando l’ingrandimento con un colpo d’occhi. Da sinistra a destra, guardò sopra alle cime degli alberi.
    «Libera», avvisò, rilassando l’imbraccio del fucile. S’impuntò sul ginocchio sinistro, schiacciandolo contro il terreno intirizzito, per guardare poi alle spalle dello Hypaspista in arrivo. Le sue Ore Sei erano sgombre dalla presenza di droni e servo-assalitori.
    Sta andando bene, per ora…
    Il cielo rimbombò, rovesciando a terra una cascata di grezzi tremori di pressione. Soffiando un filo di fiato a denti stretti, Aurelios s'accigliò; non erano scoppi da bombardamento o artiglieria missilistica, ma macro-cannonate atmosferiche.
    Portò la mano sinistra all’astina del lanciagranate montato sotto la canna. Uno scalpiccio alle sue spalle lo allertò della presenza di Hahàva e Sirio. Si fermarono poco avanti a lui, le armi tenute in condizione di sicurezza.
    Altri rimbombi, sempre lontani.
    «Che dici, arty?», esordì Sirio occhieggiando in alto. Al sopraggiungere d’altri rimbombi, incassò la testa di riflesso.
    Aurelios scrollò le spalle. «Cazzotti in alta atmosfera.»
    «Ouph...»
    Il cielo tornò a tremare. Le eco degli scoppi attraversarono il bosco alle loro spalle, scuotendo un mare di fronde blu, viola e rosse. «Chyz, sono incazzosi stamattina...»
    Hahàva si unì al suo ridacchiare. «Che dici, hanno finito la v’dkà?»
    «Nah», scosse la testa. C’era la Tarkovyyna, con la sua squadra di supporto, a fornire copertura lassù. Varie voci di corridoio avevano detto che, chiaramente prima o poi e forse, si sarebbe mossa all’attacco per sgomberare il cielo verso Negemyn. «È impossibile.»
    «Vero...»
    Evidentemente, s’erano mossi sul serio. Buon per tutti loro!

    Lo Hypaspista continuò a stridere sull’asfalto fin quando non si fermò alla loro altezza, curvando per coprirli dal fuoco di eventuali tiratori nascosti.
    In piedi dietro lo scudo balistico della brandeggiabile cal. 55 a munizionamento transuranico, Jason stringeva in mano il cannocchiale binato.
    «Dorn», esordì alla vista del relitto bruciato, appoggiandosi con il gomito alla cassa della mitragliatrice. «È proprio sfasciato...»
    «L’avrà preso in pieno un drone.» Aurelios s’issò sul copri-cingolo e si volse, accomodandosi alla meglio nel poco spazio a disposizione. Inforcò il fucile sotto l’ascella e lo mantenne basso, sempre con la sicura innescata. Sirio arrivò per secondo e salì sul fianco sinistro, accettando la mano che Tiber, il loro specialista addestrato come operatore Vox, gli offriva.
    L’ultima fu Hahàva, dopo una spazzata di controllo alle loro spalle. S’insinuò oltre Zhì, cercando in ogni modo di sbatterle lo zainetto tattico sulla faccia. L’operatrice si lamentò a denti stretti e la spinse da parte, sbilanciandola un po’.
    Riuscendo a restare in piedi, Hahàva s’aggrappò alla torretta e si accovacciò, recuperando lo zaino da campagna, il tubo contenitore del sacco a pelo e il resto del suo equipaggiamento. Borbottii e imprecazioni attraversarono il mezzo da prua a poppa, ondeggiando con la squadra che cercava di riadattarsi dopo il ritorno dei tre esploratori.
    «Sì? Con cosa, una granata al plasma?»
    «Una melta’, penso.» E come li avevano loro, così li avevano quelli del Severan.
    «Melta, ey?»
    «È tutto bruciato, lì.»
    «Ha senso.»
    Aurelios vide Jason scurirsi in viso e tamburellare sulla cassa della brandeggiabile. Morire asfissiati o arsi vivi dentro una bara di metallo non era una bella maniera d’andarsene, certo, ma per i carristi era un’eventualità con cui dover fare i conti. Si schiarì la gola con dei finti colpi di tosse e poi sbatté il piede sotto di sé. Un tonfo, poi due. «D’accordo, riprendiamo. Avanti tutta, lì sotto!»
    Rianimato da un sobbalzo in avanti, lo Hypaspista sgranò un tramestio di cingoli e scatti ferrosi. Affondò in avanti, forzando tutti i presenti sul suo scafo ad aggrapparsi a qualcosa di solido tra improperi e bestemmie, quindi la marcia lo portò a sobbalzare in avanti.
    Molto presto, la Provincialii tornò a scorrere sotto la loro prua.
    Per un buon quarto d’ora proseguirono dritti, rumoreggiando su di una strada vuota. Pali monchi o divelti puntellavano il succedersi dei segmenti, rendendo chiaro che quelli del Severan, o forse le truppe locali durante la loro prima ritirata strategica, avevano divelto i segnali stradali.
    Dopo uno svincolo a curva larga, Aurelios udì Ièn mormorare qualcosa d’indefinito. Gli lanciò un’occhiata, trovandolo intento a squadrare una fila di autovetture abbandonate lungo il bordo destro della strada, a ridosso del recinto di sicurezza. Perlopiù, erano piccole quattro-ruote-quattro-porte, squadrate e semplici. Qualche cariage, più costosa e dal taglio aerodinamico, li faceva compagnia qui e lì.
    Non erano arrugginite. Il loro abbandono doveva essere stato recente, non più di qualche mese prima del loro arrivo.
    Chinandosi in avanti, Aurelios adocchiò una quattro-e-quattro in tinta verde mela. Il suo cofano era, più o meno, un singolo lastrone di ferro e pseudo-lega squadrato. Se ne stava in mezzo a due Trott Quaranta Key, entrambe con le portiere aperte. «Guarda, una Trablad!»
    «Incredibile», replicò Ièn. Non gli sembrava molto interessato all’auto. «Oh, una Trablad. In una colonia di Garon, poi...»
    «Dici che hanno lasciato le chiavi, Libri?»
    Sirio alzò la testa, gli occhi sgranati visibili perché aveva alzato il visore dell’elmetto integrale. «Fratello, sono utilitarie.»
    Era disgusto, oltraggio o sconcerto il suo?
    Libri, accovacciato a ridosso del rialzo della cupola, alzò gli occhi al cielo come un attore. «Si, beh’… è la roba della povera gente.»
    «Infatti.»
    «Miglior export di Garon, phrankòs
    Libri non reagì. La colonna d’auto abbandonate scivolò loro accanto e presto cominciò a farsi più piccola e distante. La strada continuava, dritta e fin troppo scoperta. Duecento metri sempre dritto, un cavalcavia ad arco offriva una delle poche insegne che non erano state rimosse.
    Serigrafate sul cemento armato, delle frecce direzionali gialle e rosse indicavano la presenza di una piazzola di sosta. Una d portava l’occhio a cadere proprio su di uno stemma pubblicitario circolare, due bande in rosso e argento che stringevano la sigla “ZAC” come serpenti.
    A pensarci, era da prima del sorgere delle albe che non avevano messo in bocca un sol boccone. L’ordine di avanzare era giunto con massima priorità, aveva detto il Colonnello, sovrascrivendo gli altri. I satelliti avevano rilevato i Severan in ripiegamento, una buona occasione per recuperare terreno.
    Ora, il mezzo mattino si stava avvicinando e, pure considerando l’assenza di indicazioni utili lungo il percorso, dovevano aver coperto una buona distanza.
    «Zevtacamoil!» canterellò Aurelios, smettendola appena si rese conto che nessun altro si era unito a lui. Peccato, ma non gli piaceva quell’umore basso. Sotto lo stemma, la classica dicitura pubblicitaria se ne stava scritta in cubitale Basso Gotico maiuscolo. La tua sosta sulle Sue autostrade!
    Jason diede una spintarella a Zhì, che alzò il suo palmare di navigazione. «Dovrebbe essere la S-11 M.49, ammesso che la mappa non risalga al secolo scorso.»
    Aurelios girò gli occhi. Quello non sarebbe stato del tutto fuori dal normale.
    «Abbiamo ordine di verificarlo o possiamo passare oltre?»





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