Posts written by Allart

  1. .
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  2. .

    V



    Val strizza gli occhi, stringendo un minuscolo ingranaggio nel suo trasmettitore con un cacciavite.
    È stata una stupida a tenerlo nelle fosse, attaccato alla cintura: ha preso un colpo, e per quanto bene lei se la cavi con questi apparecchi, non è affatto facile da risistemare.
    Poco male.
    L'aggeggio tace da settimane, e se Tiberius avesse richiesto la sua presenza se ne sarebbe già accorta – con una truculenta vibrazione del suo cranio, piuttosto che del trasmettitore, ma se ne sarebbe accorta.
    Comunque sia ha finito, è di nuovo rintracciabile.
    Poggia tutto sopra la sua scrivania, un banchetto metallico grezzo e disadorno quanto il resto della stanza e dell'intera nave.
    Si lascia andare con le spalle contro la sedia, stanca.
    Quelle dello Strategium le fanno quasi da divano; questa calza decisamente meglio la sua misura.
    Socchiude gli occhi, reclinando il capo.
    Ha visto un sacco di inservienti appiattiti sul pavimento per non essersi spostati durante il passaggio di un Astartes, le loro interiora compresse tutto attorno come un foglio di carta.
    Ha visto anche le operazioni condotte sopra le squadre addette ai cannoni; fili spinati elettrificati fatti passare all'interno del cervello, pronti a fulminarne il sistema nervoso quando non lavorano abbastanza in fretta.
    Basta una scarica, di solito, per convincere i poveri bastardi ad impegnarsi a sufficienza per il resto della propria vita.
    Davanti a loro, tra l'altro, si è resa conto del trattamento di favore che le ha riservato Tiberius – dopo tutto, nessuno ha mai detto che un Siniscalco non vada “motivato” nella stessa maniera.
    Ha visto anche i corpi macellati nell'arena; e i pezzi lanciati dappertutto, come in un mosaico, durante l'abbordaggio di quegli schifosi ragni xeno.
    Eppure, dopo aver visto la vittima di Kallax qualche ora prima, non è riuscita a chiudere occhio.
    E pensare che fino a qualche ora prima stava pestando la faccia a Ulfnari e Rori.
    Un finale di merda, per quella che era stata una serata divertente.
    Nemmeno si preoccupa del fatto che potesse toccare a lei, ci ha fatto il callo.
    Quello che la innervosisce è quanto cazzo fosse irriconoscibile quella persona; una porzioncina di ciccia in scatola gelatinosa lanciata per terra e presa a calci.
    Di solito gli Astartes uccidono in un colpo, non hanno bisogno di infierire.
    Passano oltre, cercando nuova carne fresca... questo lascia ai più fortunati compagni della vittima la possibilità di identificarla, e magari lamentarne la perdita – o gioire per un posto di lavoro migliore che si è appena liberato, o un debito o una faida appianati (letteralmente) dal “destino”.
    Facile capire perché convenga poco affezionarsi a qualcuno, su quella nave.
    Sono tutti carne da cannone... persino gli Astartes, anche se in modo diverso.
    A distrarla da quei pensieri è il sottile ronzio di una karylin, una piccola bastarda succhiasangue dal morso a dir poco irritante.
    Corruccia la fronte.
    Non sarà di certo una sorpresa, ma lei odia gli insetti.
    Non le fanno schifo: la fanno proprio incazzare.
    Da quando le hanno staccato un braccio, almeno.
    Non le è mai stato chiaro come facciano a trovarsi lì, su un'astronave che non ha mai toccato terra in duecent'anni di esistenza, in un ambiente del tutto artificiale, dai materiali, alla gravità, alla stessa aria che si respira.
    Cerca la stronzetta con lo sguardo, tenendo l'orecchio attento.
    È però la pelle a farle capire dove si trova, quando le si posa sul collo.
    Ci mette un istante a spiaccicarla con la sinistra, quasi senza pensare: una vita nei livelli inferiori ti fa sviluppare buoni riflessi.
    Si guarda il palmo della mano, con la macchietta nera moribonda appiccicata sopra, mentre ancora si contorce.
    L'ironia del gesto -l'uccisione istintiva di una creatura inferiore per placare un piccolo fastidio- non le sfugge.
    Non che questo risparmi alla bestiola un 'fanculo di congedo.

    “Di questo passo arriveremo a destinazione con un terzo dei guerrieri con cui siamo partiti.”
    Borbotta Drakon a Kull, in mezzo alla folla di Divoratori di Mondi radunata per assistere ai giochi.
    “Per lo meno saranno i migliori.”
    Risponde l'altro, con una scrollata di spalle.
    Al centro dell'arena, Borg, campione delle Fosse, indica con le Falax le braccia e le gambe sparse dappertutto dei suoi avversari.
    “Zarrakh era una mezza sega.
    Se bastasse sbudellare un novellino nella Fosse di tanto in tanto per continuare a farsi chiamare Capitano, allora ne avrei molto più diritto di Tiberius.
    Ne ho appena fatti a pezzi tre.”
    Il pubblico di Astartes che circonda la scena ruggisce la sua approvazione, come fa ogni volta che viene versato del sangue.
    “Ma non basta, e voi tutti lo sapete.”
    Tra i seguaci che si scaldano alle parole del campione Drakon nota soprattutto reclute recenti, introdotte nei ranghi della Legione per rimpolparli dopo le perdite subite nel sistema Isstvaan.
    “Un Capitano deve...”
    “Star zitto e non cagare il cazzo”
    Gli urla Kull, interrompendolo.
    Il volto di Borg si contrae alla provocazione e si gira immediatamente verso di lui, puntandolo con la sua lama.
    “Mostra il tuo coraggio con un'arma in mano, se devi dire qualcosa.
    Vieni.”
    Il pubblico si ritrae, lasciando Drakon e Kull di fronte a lui.
    Il sergente fa per avanzare, ma il Vexillarius lo ferma mettendogli una mano sulla spalla.
    “Hai già combattuto tre volte, Borg.
    Conosci le regole.
    Sono fatte apposta per dare un freno agli esibizionisti come te.”
    Il campione ridacchia schifato alle parole di Drakon, prendendole per la scusa che sono.
    “Domani, allora.
    Ti aspetto.
    Cerca di dare un senso alle tue ultime ore, Kull.”
    “Non sarà così difficile bucare un coglione gonfiato.”
    Piuttosto che rispondere a lui, Borg si volge verso il Vexillarius.
    “E a te quand'è che sono cadute le palle?”
    “Forse sono andate a cercare il tuo cervello.”
    Si volta verso il pubblico riunito, prima di aggiungere “davvero volete sostituire Tiberius con questo imbecille?”
    Le reazioni sono miste, e difficilmente districabili.
    “Almeno io posso parlare per me stesso.
    Non mando avanti un cagnolino arrivista come te ed una sguattera presa dalle latrine della nave per fare il mio lavoro.”
    Ribatte Borg, e l'obiezione raccoglie parecchio successo.
    D'altra parte, un Capitano isolazionista non può raccogliere molti consensi, soprattutto tra chi lo ha visto solamente in quello stato.
    “Arrivista?”
    “Fare il finto stupido ti fa sembrare ancora più viscido.
    Tiberius non c'è, e tu ne approfitti per farti seguaci e prendere decisioni che non ti spettano.”
    “Decisioni che nessuno prenderebbe altrimenti.
    Si chiama usare il cervello e proporre soluzioni sensate.
    Ed è la stessa cosa che vorresti fare tu, esclusi il cervello e le soluzioni.”
    “Chiamala come ti pare, ma se quell'autorità spetta a qualcuno, allora spetta a me.
    Anzi, forse è il caso di porre fine al tuo patetico tentativo sul nascere, prima di pensare a Tiberius.”
    Borg si volge verso Kull, sogghignando.
    “Ritieniti fortunato, portamerda.
    Ho trovato un culo più interessante da calciare.”
    Kull ridacchia.
    “Seh, dì che te la stavi facendo so-”
    Il campione lo colpisce il volto con la guardia di una delle sue Falax, tracciando una tripletta di squarci sul suo petto prima che possa finire la frase, o che Drakon possa intervenire.
    Kull cade in ginocchio, sbigottito e sanguinante a fiotti.
    La folla va in visibilio.
    “Sono sicuro che tu sappia fare di meglio.”
    Sghignazza a Drakon, con gli occhi dilatati di chi ha chiacchierato fin troppo, ed ha deciso di lasciarsi andare dietro ai capricci degli impianti.
    “Dopotutto, eri riuscito a ferirmi due volte prima di finire con il culo per terra, no?
    La tua morte sarà un bello spettacolo per la Compagnia.”
    I due si fissano per alcuni secondi, uno bellicoso e provocatorio, l'altro pieno di rabbia.
    È nuovamente il campione delle Fosse a rompere gli indugi.
    “Raccatta il tuo sergente e portalo a rattoppare.
    Io ti aspetto qui domani sera.”

    “Fuori dai piedi, cagna.”
    Il pavimento del corridoio è lurido e ghiacciato.
    Riesce a sentire in bocca il sapore freddo del metallo -no, del suo sangue.
    Solleva gli occhi su Borg, ritirandosi in piedi.
    È capace a starsene in disparte per non provocarli; non a tacere quando provocano lei.
    Anzi, è proprio la certezza dell'inevitabilità del suo destino a toglierle ogni voglia di permettere a qualcuno di renderlo pure umiliante.
    “Ma che cazzo fai?”
    Gli chiede Val, ritirandosi in piedi e pulendosi il labbro spaccato con il dorso della mano.
    In mezzo ai piedi non ci stava nemmeno; l'è andata deliberatamente ad agguantare per poi lanciarla a terra come un pupazzo.
    Ci arriva da sola, a capire che cazzo stia facendo.
    Vuole dimostrare di poter provocare impunemente Tiberius; di poter umiliare la Siniscalca che ha scelto personalmente senza che lui si muova di un passo dal suo isolamento.
    “Faccio quello che voglio.”
    Risponde lui, più spontaneo e scontato di quanto Val credesse possibile.
    “Perché, credi che lucidare lo spadone di Tiberius ti renda speciale?”
    Dire se il doppio senso sia voluto o meno è più difficile di quanto sembri.
    Di solito un Astartes di queste cose non sa niente, essendo preso in età prepuberale e venendo rimodellato per conoscere e pensare solamente alla guerra.
    Qualcuno dei manovali che ha seguito lo scambio, fermandosi a distanza di sicurezza ai margini della scena, ridacchia.
    Tra loro invece certe battutacce girano eccome.
    “A me pare evidente che sia tu a crederlo.”
    Risponde, con una scrollata di spalle.
    “Come ho già detto a quel coglione di Drakon, i vostri privilegi immeritati finiranno presto.
    Godeteveli finché non avrete un nuovo Capitano.”
    Attorno alla scena si è già creato un discreto pubblico di Astartes e -più lontano- di inservienti, proprio come Borg aveva desiderato.
    “Tu?”
    La donna sorride divertita, incrociando le braccia.
    Il movimento le porta dolore al labbro ferito, e le sporca nuovamente i denti di sangue.
    Un piccolissimo prezzo da pagare, per il gusto di ridere pubblicamente in faccia ad uno stronzo troppo convinto che crede di potersi fare bello a spese sue – o di Tiberius.
    Tra i presenti, con la coda dell'occhio riesce a scorgere Kallax.
    Non è sicura che interverrà in suo favore, una volta che Borg le sarà inevitabilmente saltato addosso per spezzarle il collo, ma in qualche maniera paradossale la sua presenza riesce a darle quella goccia di coraggio sufficiente a fare traboccare il celeberrimo vaso.
    Forse proprio per dimostrare al Medicae che non ha più alcuna paura di lui o dei suoi simili.
    “Non controlli gli impianti meglio di Tiberius... e sei più stupido.”
    Tra lo sghignazzare che la sua risposta solleva, la risatina nasale ed acuta di Kallax risalta indiscutibilmente.
    Farsi insultare da un'insulsa umana è naturalmente inaccettabile per il campione delle Fosse.
    Ancor prima che Val possa rendersene conto si ritrova con il culo per terra, il suo braccio bionico spaccato in mille pezzi.
    Pur essendo artificiale, era una parte di lei che aveva preso a definirla; adesso si sente doppiamente mutilata.
    La velocità di Borg è sicuramente leggendaria, ma provarla su sé stessi è decisamente un'altra cosa.
    Rimane sbigottita, col il cuore che pare doverle scoppiare in petto da un momento all'altro, e la gola talmente secca da non permetterle quasi di respirare.
    È stato decisamente più lucido di quanto lei credesse, comunque, limitandosi ad un avvertimento umiliante: distruggere proprio quel simbolo del suo privilegio nella Legione, una cura particolare che a nessun altro dei servitori umani sarebbe mai stata riservata.
    Sono proprio questi ultimi, sul fondo della stanza, a trarne maggiore soddisfazione.
    La rabbia che prova nel vederli supera di gran lunga qualsiasi paura, dolore o umiliazione.
    No, non andrà giù in maniera così degradante.
    “Zurn'gak, Borg!”
    Gli sputa acidamente contro in Nagrakali, l'idioma posticcio della Legione.
    Ridono tutti, proprio perché quella lingua è stata pensata per essere compresa da un meticciato di reclute provenienti da mondi al limite del selvaggio e spesso messi in difficoltà dal più sfumato linguaggio gotico imperiale.
    Il significato delle parole di Val resta difficile da rendere compiutamente in una traduzione, ma coinvolge culi materni, cani malati e nani.
    Decisamente più di quanto il campione, fin troppo paziente fino a questo punto, sia disposto a permetterle.
    Val vede la suola del suo sabaton potenziato sollevarsi fino a coprire il soffitto, pronta ad abbattersi su di lei.
    Non si aspettava accadesse oggi, non si aspettava accadesse così, ma per lo meno si è fatta valere.
    Non chiude gli occhi, non lascia sfuggire parole.
    L'ultimo insulto a Borg è un epitaffio perfetto, e dimostra molte più palle di quanto i vermi che adesso sorridono soddisfatti al suo destino potranno mai sperare di avere.
    Cala il silenzio, e lei non distoglie gli occhi dalla suola di Borg, pronta per la sua esecuzione.
    Forse quegli stronzi si sono davvero resi conto di ciò che lei stava pensando, ed hanno capito che sia meglio tacere.
    Borg si muove.
    Il soffitto non le cade addosso, né l'oscurità la prende, né la pressione le distrugge i polmoni.
    C'è uno scoppio, però.
    Un impatto esplosivo, un suono serpentino che continua a vibrare nell'aria a distanza di diversi secondi.
    È il fischio metallico della ceramite che si scontra con la ceramite, l'armatura di un'Astartes che rimbalza contro quella di un altro.
    Tiberius?
    Kallax sghignazza rumorosamente, il suo trasmettitore vox ancora illuminato e borbottante.
    Per lui si è trattato solamente di un giochino, fare passaparola verso l'orecchio del Capitano per vedere come si sarebbe comportato.
    L'attenzione di Val, e la sua sorpresa, sono ovviamente rivolte verso quest'ultimo, fremente e ringhiante verso Borg, visibilmente sorpreso almeno quanto lei.
    Non era quello che volevi, stronzo?
    Lo scontro improvviso ha palesemente eccitato anche gli altri Legionari presenti.
    Le pupille sono dilatate, i denti metallici scintillano nelle bocche sbavanti, le nocche sbiancano nel chiudersi nervoso dei pugni.
    L'intera situazione è uno stallo fatto di fumo, una bomba a orologeria pronta a scoppiare da un momento all'altro.
    Il primo a muoversi sarà il primo a ritrovarsi tutti gli altri addosso.
    Per un istante il tempo sembra fermarsi, se non per l'ansimare collettivo e il sorrisaccio di Kallax, che sembra più un bambino al parco giochi che un soldato all'alba di un massacro non necessario.
    Tiberius sta tra Val e Borg, ma non la guarda nemmeno.
    Anche lui sembra soddisfatto, come se non chiedesse di meglio che lo scoppiare degli impianti di tutti i presenti, fatto cui seguirebbe di certo una carneficina assoluta su tutta la nave.
    Sarebbe assurdo se quella si spegnesse nel cuore del suo viaggio, svuotata dell'ultimo membro del proprio equipaggio per una violenza inutile e insensata.
    Sarebbe assurdo se i piani di due Primarchi per la distruzione di un sistema solare venissero sventati senza alcun intervento nemico, e se una Compagnia di trecento Astartes commettesse un genocidio-suicidio nel corso di una sola notte per il semplice fatto di essere stata rinchiusa insieme a sé stessa.
    Più assurdo ancora è che questo non accada.
    Il ricettore vox di Tiberius trasmette un'altra comunicazione.
    È l'Astropate Primus della spedizione, un vecchio cieco, esile e decrepito che ha imparato a proprie spese il pregio dell'essere diretti e concisi.
    “Stiamo entrando nel settore Beneheventian.
    Il bersaglio più vicino è Mardrion.
    Stimo di riuscire ad emergere nel cuore della flotta nemica nel corso delle prossime due ore.”
    L'esultanza animalesca che li travolge tutti a quella promessa è un unico, assordante ruggito.
  3. .

    IV



    Non sa dire quanto tempo sia passato esattamente.
    La sua memoria ultrasecolare – la sua ascensione- ha sommerso luoghi, tempi, volti, voci.
    Tuttavia, ancora ricorda un nome, e le parole d'un vecchio morente a un bambino spaventato.
    “Possiedi il sangue di Kurrukh Ghul.
    Un giorno erediterai il comando di questa tribù.
    Sai su cosa si basa il comando, nipote?”

    Allora non seppe rispondere.
    Oggi, forse, potrebbe farlo, ma solamente al prezzo di nuove domande.
    “La lealtà.”
    Gli disse il vecchio.
    “Impara ad esercitarla in te stesso e a premiarla negli altri.
    Coltivala in ogni occasione.
    La lealtà è l'unico, vero metro per l'anima di un uomo.”

    Ripensa spesso a quelle parole, chiedendosi che cosa essa sia realmente, quale razionalità debba seguire, o a chi spetti in priorità sugli altri.
    Ha cercato di basare la propria intera esistenza sulla lealtà.
    Ma gli attori della galassia sono molti, le reti infinite, le conseguenze incalcolabili, e il momento per decidere è uno soltanto.

    Freme.
    I suoi impianti lo fanno vivere in un dolore costante, ripetendogli la dolce promessa di quella che è diventata la sua sola assoluzione.
    Cedere alla loro volontà significa affogare ogni senso di colpa nel sangue, dimenticare sé stesso in un'estasi di violenza e piacere.
    Ogni volta che si lascia andare diventa più difficile rimandare la successiva.
    E cazzo, il vuoto lo inghiotta se oggi i Ganci non si stanno dando da fare.
    Dilaniano la sua mente come artigli arroventati, come migliaia di roditori che mordono all'impazzata per fuggire dalla sua testa, come...
    Seduto sul trono dello Strategium, Tiberius porta le mani alle tempie, cercando i punti di pressione.
    A volte aiuta.
    Lentamente, la schiena si fa meno rigida, il respiro meno pressante.
    Durerà poco.
    In questi momenti di distensione, sempre più rari, gli sembra di riemergere da un sogno.
    Non un bel sogno di certo, ma lo preferisce alla realtà.
    Combattere, sanguinare, uccidere ancora: questa è la sua vita, il vero tormento sono i momenti vuoti tra una fase e l'altra.
    Troppo tempo con sé stesso.
    Sotto il ticchettio dei Ganci, frustrati dall'immobilità, le idee si confondono, i ricordi si accavallano... è difficile mantenere l'attenzione per un discorso, o concentrarsi su un pensiero.
    Si tratta più che altro di un susseguirsi caleidoscopico di frammenti, ognuno dei quali porta con sé una nostalgia, una bellezza perduta, una colpa.
    Il rischio di cedere per scacciarli è troppo forte: preferisce rinchiudersi nei suoi quartieri.
    Le Fosse sono una cosa.
    Laddove un tempo gli dispiaceva il dover uccidere quei confratelli che lo sfidavano per il suo ruolo, adesso accoglie tali scontri con gioia, come una liberazione controllata.
    Ma quel tipo di combattimento è riservato alle occasioni speciali: di solito ci si accontenta del primo colpo segnato, o del terzo... lui non saprebbe trattenersi.
    Se anche non ci fosse il destino dei Caedere ad attendere chi versa il sangue della Legione fuori dall'arena, non si permetterebbe mai di farlo.
    E cazzo, resistere sta diventando sempre più difficile.
    Evita persino la sua servitrice, ultimamente.
    Ucciderla non sarebbe nemmeno una sfida.
    Sarebbe solo grattarsi un fastidio irresistibile, per soddisfare un prurito che tornerebbe più forte in pochi secondi.
    Un'azione indegna di lui, da non aggiungere alle tante altre che ha già commesso.
    Lo sguardo cade sugli altri scranni dello Strategium, vuoti ed inerti.
    Drakon, Borg e Kallax sono degni di sedervisi, e non manca di convocarli quando necessario, prima di una battaglia... ma nei recessi della propria memoria riesce ancora a scorgere un tempo in cui quei posti erano qualcosa di più, una sala di convivio, risate, vino, racconti.
    Non è difficile rivedere su di essi gli spettri di chi li occupava un tempo, morti per una sua scelta.
    Nornas, Garalth, Verjell... a ripensarci per l'ennesima volta, sente il sapore del vomito in bocca.
    Una sensazione umana, dimenticata, rimasta con lui fino alla fine del Tradimento.
    Non ha mai saputo mentire, né ha mai voluto farlo... ma ha dovuto.
    Ha sacrificato tutto, tutto per essere leale al Primarca.
    Ogni legame fraterno, ogni oncia del nome che si era costruito nella Grande Crociata, ogni speranza per il futuro.
    In un primo momento ci ha provato, non lo può negare.
    Ha provato ad abbracciare la Verità Imperiale, la tecnologia, la cultura, la propaganda.
    Era un eletto, un asceso, un protagonista della nuova era dorata dell'umanità.
    Ha provato a convincersi che invadere pianeti liberi, pacifici e soddisfatti per riunirli sotto un unico tacco fosse la prospettiva migliore per la sua specie.
    Non ha funzionato.
    Ricorda bene Zurinn, ai tempi dei Mastini da Guerra.
    Un pianeta in protesta pacifica contro il potere Imperiale, seduto, non combattivo, non produttivo.
    Il comando della Trentaduesima Spedizione voleva sbrigarsela alla svelta, con una lezione da incastonare nelle leggende di quel mondo, una lezione che non sarebbe servito ripetere.
    Carta bianca a una piccola forza di Legionari della sua Compagnia, liberi di scrivervi in rosso la legge dei conquistatori.
    Ricorda bene la loro regina, che gli parlava di libertà mentre lui taceva imbarazzato.
    Non c'era niente da dire.
    Aveva ragione.
    Ha provato un brivido, mentre la uccideva.
    Ha spezzato parte della propria coscienza, insieme alla schiena di lei.
    Ma alla fine, lui, la sua libertà se la è conquistata -- libertà di cosa?
    Di essere dei berserker, dei macellai, come si sono ridotti ad essere?

    Ringhia, irrigidendosi sul proprio trono, con gli impianti nuovamente sul punto di prevalere.
    No, gli imperiali sono i veri macellai.
    Ha combattuto per loro fin troppo a lungo.
    Niente domande, niente anima.
    Obbediscono ciecamente agli ordini, a quegli ordini, come ha fatto lui.
    I morti su Isstvan hanno la colpa del proprio destino; non avrebbero voluto cambiare.
    Chi è rimasto leale è chi, con Angron, ha capito.
    Chi crede che il Primarca abbia portato alla Legione solamente i Ganci non è che un idiota.
    Lui era Angron lo schiavo, Angron il gladiatore... Angron il ribelle, pronto a lottare fino alla morte sui monti di Nuceria con il proprio ideale sulle labbra, esalandolo nell'ultimo respiro.
    La libertà è la sola cosa per cui valga la pena combattere.
    La catena imperiale è in frantumi, e se Horus crede di poterla rimpiazzare con la sua troverà lo stesso destino: la sua ribellione è solamente un mezzo, non un fine.
    L'era dei padroni sta finendo tra le fiamme, e nella cenere resterà l'unico, vero legame: la lealtà.
    Lealtà al proprio padre genetico, che lo ha sempre premiato; lealtà ai compagni che hanno lottato per lo stesso scopo.
    Kharn, uno dei pochi rimasti come lui, quelli della Vecchia Terra.
    Voss, con cui ha passato tempo a fantasticare ormai più d'un secolo fa su un Primarca di cui, ritrovatolo, si è detto deluso... persino Voss ha capito.
    Sono guerrieri con cui ha un legame, e al cui fianco è fiero di combattere.
    Ma sono Capitani di altre Compagnie, con cui condividere -forse- un campo di battaglia in un anno.
    I legami più vicini li ha recisi.
    Nornas non era un semplice macellaio, checché cerchi di dirsi.
    Lui e quelli come lui credevano davvero all'Illuminismo Imperiale.
    È stato al suo fianco fin dall'inizio, ha combattuto con lui ogni giorno, come Verjell.
    Erano i suoi guerrieri, lo amavano, si fidavano di lui.
    A loro non doveva lealtà?
    Rimangono pochi tra quelli che hanno lottato con lui su Arrigata, pochissimi su Sarum, e ancora meno che posseggano ricordi più antichi.
    Ma è inutile piangere sul sangue versato.
    Non può mentirsi: non avrebbe mai rinunciato alla possibilità di abbattere il palazzo del Tiranno.
    Lo odia, lo ha sempre odiato, lo odierà sempre.
    Ha massacrato il suo popolo, occupato le sue terre, calpestato il futuro che aveva sognato.
    Avrebbe dovuto guidare il proprio tecno-clan, da adulto.
    L'Imperium ha scelto un destino completamente diverso per lui.
    Non si trattò di nulla di speciale; è sempre stata prassi degli Astartes prendere giovani tributi tra le élites guerriere sconfitte.
    Con il passaggio ad un livello postumano -con la forza che quella schiavitù porta in dono, o forse solo con il tempo, molti hanno dimenticato, o si sono convinti.
    Lui no.
    Mai, per un solo secondo, il suo cuore è appartenuto del tutto all'Imperium.
    Molti, scoprendone le ragioni, avrebbero riso di lui.
    La galassia è molto più grande, il suo scopo e la sua gloria infinitamente più rilevanti di quelle di un capo tribù barbaro.
    A Val stava per dirle.
    Forse lo ha fatto... non ricorda.
    Gli impianti fottono gravemente con la sua memoria.
    È sicuro che avrebbe -o abbia- capito.
    Sa bene cosa sia il trovarsi orfani, mutilati, catapultati in un mondo grandioso ed estraneo.
    Ed ha fegato, di certo più della maggior parte dei vermi che infestano la sua nave.
    Sarebbe stata un buon legionario.
    È un peccato che sia nata donna.

    ...Lui è stato un buon legionario?
    Ha anteposto la sua vendetta personale ai confratelli, unica gioia in tutti gli anni di vuoto nel giogo della Grande Crociata.
    Anche se non lo avesse fatto, però, quali altre scelte avrebbe avuto?
    Seguire i morituri su Istvaan III, in nome di un potere a cui non crede?
    Sono quelli i morti gloriosi?
    Non passa giorno senza che se lo chieda ancora e ancora, giungendo ogni volta a una conclusione diversa.
    Il sangue del tirannico impero è vino nel suo calice, e finalmente può spillarne liberamente... il retrogusto è però quello del rimorso.
    Horus ha ragione, quando dice che il Tiranno pensa solamente a sé stesso, arroccato nel suo palazzo da cui tiene mondi sotto scacco, a tentare di ascendere, facendosi venerare come un Dio, pronto a scartare i propri strumenti nel momento in cui non siano più utili.
    Lo ha già visto con i guerrieri dell'Unificazione, su Cerberus.
    Nornas, prima che una vittima di Tiberius, è stato una vittima del falso Imperatore.
    Il pensiero gli fa bollire il sangue nelle vene.
    Il morso dei Ganci si stringe.
    Senza nemmeno essersene reso conto, si ritrova in piedi, con le mani strette attorno a un cranio immaginario, cercando di spappolarne gli occhi con i pollici.
    Il Trono dovrà pagare anche per questo, per tutti i suoi compagni che ha traviato e tradito.
    È l'opportunità che ha sempre voluto, la vendetta che ha sempre voluto.
    Ha il sapore di cenere e sangue, e non di ambrosia come credeva.
    Ma è troppo tardi per voltarsi indietro, e andrà fino in fondo, fosse anche solo per vedere la testa del Tiranno su una picca del suo stesso palazzo.

    Le fosse sono affollate come sempre.
    Il loro ruggito trionfale si innalza come quello di un'unica bestia, mentre la suola di Arkadios, Apotecario della Legione, si abbatte sul volto del suo sfidante in ginocchio.
    Il rumore non si è ancora attenuato quando un altro sfidante si fa avanti: Rhaskos, Sergente della seconda Squadra Tattica.
    Il suo orribile sorriso metallico, così come l'indice della mano destra, puntano oltre l'Apotecario vittorioso, verso il pubblico.
    Verso Lennar, un altro Sergente, ma il più veterano della Compagnia.
    “Terzo sangue?”
    Lennar annuisce.
    Arkadios si dirige verso l'uscita del cerchio umano, per scambiarsi di posto con il vecchio combattente.
    Prima, però, gli lancia un'occhiata divertita.
    “Evita di fare come l'altra sera.
    Era un duello al primo sangue.”
    Lennar scrolla le spalle.
    “Un sacco di primo sangue.”
    Gli Astartes più vicini, quelli in grado di sentirlo, non trattengono la risata.
    Rhaskos impugna già una coppia di Falax, lame ricurve dal filo monomolecolare.
    Basta sfiorare la pelle, che entrambi gli sfidanti espongono nuda dalla vita in su, per squarciarla.
    Lennar, invece, riceve da Arkadios l'Excoriator appena usata: nulla di più di un'ascia a catena inastata dalle dimensioni raddoppiate.
    In entrambi i casi si tratta di armi specifiche, ispirate a quelle usate dai gladiatori Nuceriani nelle fosse dove il Primarca ha dovuto combattere prima di riunirsi alla Crociata.
    La teoria per usarle, e persino la pratica, è estranea agli schemi delle Legiones Astartes.
    Loro due sono tra i pochi a padroneggiarle, e l'interesse suscitato dallo scontro si traduce subito in cori, urla, insulti, scommesse.
    Le Falax sono maneggevoli, leggere, forse anche troppo.
    Rhaskos se le fa roteare attorno come una tempesta d'acciaio.
    La mole di colpi che un Astartes può portare con la propria velocità sembra quasi innaturale, laddove un individuo non addestrato rischierebbe, imitandolo, di farsi a pezzi da solo.
    L'Excoriator è un'arma molto più lenta ed impacciata, ma il suo solo peso renderebbe un colpo pieno sufficiente per tranciare a metà qualsiasi forma di vita inferiore ad un Primarca.
    Inizialmente, i due riescono a resistere agli impulsi dei Ganci, studiandosi, girandosi attorno.
    Rhaskos non smette di far danzare le lame, diffidando l'avversario da un assalto sconsiderato.
    Già questo basterebbe per mettere in difficoltà la maggior parte dei Divoratori di Mondi.
    Lennar tiene la propria arma a mezz'aria, scoprendo le gambe e parte del torso, ma con la promessa di abbatterne tutto il peso non appena l'altro tenti di avvicinarsi per approfittarne.
    Rimangono così per alcuni secondi, fissandosi negli occhi, nel silenzio generale.
    “Non sforzare troppo la schiena, nonno.”
    Lo provoca Rhaskos.
    Non funziona.
    È dunque lui a rompere gli indugi, con un rapido sgualembro al gomito esposto del vecchio Sergente.
    Troppo veloce.
    La Falax destra lacera pelle ed ossa, mentre la sinistra devia accompagnando in caduta l'ascia a catena dell'avversario.
    Lennar grugnisce, mentre Rhaskos sembra già pronto ad approfittare della rottura nella sua difesa, balzando in avanti... ma l'altro accorcia l'impugnatura, ruotando violentemente il torso ed utilizzando la testa acuminata dell'ascia come pugnale da piantare nello stomaco dell'altro.
    Rhaskos viene spinto a terra dall'impatto, ma si rialza rapidamente dopo una capriola all'indietro.
    Tutti e due stanno sanguinando dalla propria prima ferita.
    Rispetto all'inizio, però, adesso i Ganci hanno pienamente preso il sopravvento di entrambi.
    Ogni pretesa di stile si vede ben presto accantonata, mentre i due si saltano addosso come cani da caccia.
    In questo nuovo assalto, è la lunghezza dell'arma di Lennar ad avere la meglio, e si abbatte sulla figura dello sfidante prima che questi si avvicini abbastanza da poter colpire.
    La ferita al ventre di Rhaskos pare rallentarlo, ma la sua schivata riesce comunque quello che sarebbe stato un colpo mortale in una lacerazione alla spalla destra.
    Il pugno si apre, inerte, lasciando cadere una delle due Falax.
    Anche la lucidità inizia a sfuggirgli, ma riesce ad allontanare l'avversario con una spallata prima che quello possa attaccarlo di nuovo.
    “Coraggio!”
    Gli grida contro, le labbra contorte in un sorriso sofferente.
    “Mia madre me le dava più forte!”
    Se qualcuno tra il pubblico se la ride, di più sono quelli che lo fanno alla risposta di Lennar.
    “Non ce l'hai nemmeno, una madre.
    Sei stato cagato fuori da un bordello.”
    Gli impianti lo spingono contro il veterano senza quasi che lui se ne renda conto, cercando di sferrare un fendente di forza con la sola Falax rimastagli, ogni pretesa di tecnica abbandonata.
    Lennar intercetta la sua lama con la propria, strappandogliela di mano.
    Rhaskos non si preoccupa nemmeno di guardare dove essa vada a finire, agguantando con entrambe le mani l'asta dell'Excoriator, bloccando il prossimo colpo dell'avversario sul nascere.
    Lennar strattona, cercando di imporre le proprie maggiori energie.
    Rhaskos fa appello alle proprie per tirargli una poderosa testata tra naso e denti, spaccando cartilagini, cemento, smalto, dentina.
    Anche l'Excoriator cade per terra.
    Due pari.
    Quello che non ha previsto è che Lennar ricambi azzannandolo al collo con le schegge e con quei denti metallici che gli rimangono, mordendo a fondo, scuotendo la testa come un mastino impazzito.
    Cazzo, ha preso il nervo della spalla.
    Il dolore è lancinante, ma tra le convulsioni e i brividi, riesce a portare le mani al collo del veterano, stringendo con tutta la propria forza, trascinandolo a terra.
    Arkadios li lascia andare avanti per un bel po', divertito quanto e forse più del resto dei presenti.
    Poi, assieme a un altro separa di forza i due contendenti.
    Il morso era il terzo sangue.

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    Tiberius e Val di SlaaneshG.
    Cercate la sua gallery su DeviantArt, ne vale la pena!
  4. .

    III



    Le grida di un'orda di folli incatenati riempiono le orecchie di chiunque si avvicini al cuore della Merelekh.
    Sono animali violenti, privi di senno, inariditi d'ogni goccia residua di umanità, sottomessi alle tentazioni e ai capricci degli impianti.
    Hanno rinunciato ad ogni pretesa di resistenza o di autocontrollo.
    Non possono che essere imprigionati nelle viscere più profonde della nave, a ruggire la propria rabbia impotente nell'attesa d'essere finalmente sguinzagliati, mentre tentano senza sosta di liberarsi per potersi saltare addosso a vicenda e soddisfare la propria bramosia.
    Sono i Caedere.
    Benedetti, per alcuni dei loro fratelli, perché hanno trasceso ogni genere di preoccupazione oltre la guerra.
    Maledetti, per altri, come presagi viventi del destino che li attende tutti.

    Lascia cadere a terra lo straccio insanguinato con cui si è pulito la fronte, senza distogliere lo sguardo dalle capsule di materiale genetico sul banco dell'Apothecarion.
    Il seme della Legione deve essere recuperato e trasmesso dalle vecchie generazioni alle successive.
    Tra le Fosse e le aggressioni dei Caedere, c'è sempre stato di che lavorare, e ciò si è fatto ancor più vero dopo il Tradimento.
    Per questo indossa la sua armatura anche mentre lavora al suo banco, eccezion fatta per l'elmo.
    Il trasmettitore vox incorporato nella gorgiera borbotta improvvisamente.
    In uno stridio di graffi e scoppi statici, riesce a distinguere la voce di Gerakh.
    Nuova aggressione, livello XIII, sezione B-14.
    Kallax è sempre pronto.
    Raccoglie la sua pistola ad acus dal bancone, un modello particolare in dotazione all'Apothecarion.
    Solitamente vengono usate per sparare schegge velenose, o qualche altra merda infettiva.
    Per la sua, Kallax ha personalmente distillato uno speciale sedativo, capace di lasciare persino un Astartes sbavante al tappeto nel giro di pochi secondi.
    Una cosa esilarante.
    La caccia al Caedere è sempre stata divertente, per lui.
    Mentre corre verso il segnale di Gerakh, i suoi Ganci iniziano a fremere, ansiosi.
    Uno strano apparecchio, il suo.
    Non è come quello dei suoi compagni.
    Non è un assassino... non soltanto, almeno.
    È un cacciatore.
    Spronato dai suoi impulsi nervosi, quasi non si rende conto di essere arrivato a destinazione.
    Questa volta, purtroppo, i Caedere gli offrono poca soddisfazione: non si comportano da prede.
    Non provano nemmeno a nascondere ciò che stanno facendo, fradici del sangue dei propri compagni.
    Quattro uomini della squadra di Gerakh, macellati per terra.
    Il sergente stesso sta lottando per non farsi spappolare il cranio contro la parete del corridoio, mentre il suo ultimo guerriero si fa strappare la testa dalle spalle dall'ammasso furente di muscoli che un tempo rispondeva al nome Kurogh.
    Nessuno lo sente arrivare.
    Il primo dei tre aggressori cade privo di sensi, senza nemmeno rendersene conto: un ago piantato nel retro del capo.
    Solo quando il suo corpo tuona contro il pavimento metallico del corridoio gli altri due abbandonano le proprie prede sanguinanti per lanciarsi verso Kallax.
    Lui rimane immobile, prendendo la mira, centrando quello di destra in mezzo agli occhi.
    Un'ottima prova di abilità, ma non quella che gli impianti hanno richiesto.
    Mentre lo puniscono, rilasciando scariche di dolore artificiale in tutto il suo corpo e bloccandolo sul posto per un solo, fatale istante, l'ultimo dei Caedere lo travolge come una valanga.
    Non ha nemmeno il tempo per accorgersi d'aver perso di mano la pistola.
    La bestia è su di lui, e colpisce la sua faccia scoperta più volte di quante il Medicae riesca a contarne, ignorando completamente i pugni e i calci disperati con cui tenta di liberarsi.
    Il volto di Kallax si trasforma rapidamente in una polpa sanguinolenta di carne lacerata ed ossa infrante.
    È sul punto di perdere i sensi, quando la tempesta di violenza sul suo corpo si placa.
    Kurogh gli si accascia di fianco, liberando la visuale.
    Gerakh.
    Gerakh ha la pistola.
    Nel vederlo, nel vedere tutta la situazione circostante, il Medicae si lascia andare a una risata nasale, spasmodica, a pieni polmoni.

    I tre bastardi sono stati uniti ai loro sempre più numerosi simili, ed i superstiti sono andati a farsi rattoppare nell'Apothecarion.
    Non Kallax.
    I suoi Ganci hanno continuato a fremere insoddisfatti, anche nella cecità di un volto demolito.
    Serve un rimedio.
    Serve cacciare.

    Val scende nei livelli inferiori della nave, quella sera.
    Un intrico di cunicoli metallici male illuminati, grovigli di cavi gettati agli angoli, ruggine, figure ricurve che sciamano al lavoro, verso il cuore della nave.
    Si trova vicina ai motori.
    Il rumore è assordante; è il ruggito senza fine di un dio della guerra che talvolta si intensifica, scuotendo le pareti e scrollandosi di dosso la propria sporcizia.
    Ed è caldo.
    Caldo come in nessun altro luogo che lei abbia mai visitato in vita sua.
    L'umidità evoca rapidamente uno strato di sudore sulla pelle, cui si appiccicano immediatamente la fuliggine e la polvere vaganti nell'aria.
    Entrare in questo mondo sotterraneo dà la stessa sensazione di farsi rovesciare in testa un secchio di terra con dentro gli avanzi di una carogna puzzolente.
    È la sua casa.
    Ci è tornata per divertirsi, come fa di tanto in tanto, quando i suoi doveri di siniscalca non glie lo impediscono.
    Cerca le Fosse di combattimento.
    Sono soltanto dei cerchi umani che si radunano negli incroci più spaziosi di quel labirinto di corridoi, ridicole imitazioni delle confraternite guerriere degli Astartes.
    Ma non le dispiace di certo rompere un naso, ogni tanto, o ancora meglio un braccio.
    Per sentirsi viva.
    Tutti, su quella nave, si sentono vivi con la violenza.
    Ma quella è la sua violenza.
    Serve a ricordarle chi è.
    Una predatrice, e non una preda.
    Vista la posizione che ricopre, lo dimentica fin troppo spesso.
    Stasera va in cerca di un rimedio.
    Non importa se i livelli inferiori si stanno trasformando nel nuovo territorio di caccia per quegli Astartes che non riescono a trattenersi, a cui non basta più combattere tra loro nell'arena.
    Non ha paura.
    Sente un urlo di dolore in lontananza, che rimbomba tra le anguste pareti ferrose.
    Ma lei guarda negli occhi Tiberius ogni giorno.
    Una tigre fremente, affamata, eppure rinchiusa per sua stessa scelta.
    Sa che un giorno dovrà uscire.
    A che serve dunque aver paura?
    Oggi o domani, non importa.
    Non è qui per tornare indietro.
    Anzi, l'esatto contrario.

    Sorride.
    Ha un occhio rosso e uno zigomo gonfio; il gomito sinistro -quello vero, fatto di carne ed ossa- si piega con dolore.
    Zoppica, mentre torna alla sua stanza.
    Sorride.
    Ha il sangue di Gunnar, addetto ai lavori pesanti, spruzzato sulla guancia destra.
    A Zebeth, prestatore di manodopera meccanica, ha spaccato il ginocchio.
    Urren, supervisore, ha rifiutato di finire l'incontro tra le risate generali.
    È soddisfatta.
    Ha tenuto fede al proprio nome.
    Val Kheren, “colei che sceglie i caduti”, almeno stando a quello che le diceva suo padre.
    Si tratta di una lingua che lei non ha mai parlato, un dialetto dei guerrieri Ganarreani che si imbarcarono, come auxilia imperialii, sulla Merelekh quando la trentaduesima spedizione si lanciò nello spazio per prendere parte alla Grande Crociata.
    Duecento anni prima, per quanto ne sa lei.
    Le generazioni si sono susseguite, e molte tradizioni sono andate perdute.
    Ma il sangue di quei guerrieri vive in lei, evidentemente abbastanza da conciare per le feste qualche imbecille rigonfio di muscoli.
    Li ha scelti uno per uno, in effetti.
    E li ha messi con il culo per terra.

    L'odore di viscere ed escrementi è insostenibile.
    Voltato l'ennesimo degli angoli formati dagli angusti corridoi dei livelli inferiori, la ha colpita come un pugno alla bocca dello stomaco, molto più forte di tutti quelli che ha realmente preso fino a poco prima.
    Niente, nella figura che le si para davanti, è naturale.
    Non lo è la biologia incrementata di un Astartes, non lo sono gli occhi, glaciali eppure iniettati di sangue e con le pupille incredibilmente strette.
    Non lo sono i capelli albini, o la pelle tanto chiara da far quasi trasparire il teschio sotto di essa.
    Ma più evidentemente di ogni altra cosa, non lo è il silenzio.
    Come tutti quelli della sua genia, Kallax, Primus Medicae della sedicesima compagnia, è stato scelto da ragazzo per essere sottoposto a un'ordalia che gli avrebbe fatto trascendere lo status di umano.
    La sua pelle è stata dilaniata e ricomposta, i suoi organi sostituiti, potenziati o incrementati, le sue ossa rimodellate, i suoi sensi incrementati a un livello quasi divino.
    La sua statura, il suo fisico, non sono quelli di un uomo, ma di un gigante.
    Eppure non fa rumore, quando si muove.
    Non il minimo suono.
    Nemmeno per via della pesante armatura di piastre che lo ricopre interamente, ad eccezione del volto.
    È un lavoro pregiato, quella corazza: è completamente ricoperta di fregi argentati e fasce di ottone; un volto demoniaco scolpito del metallo adorna la piastra pettorale; lame simili a corna escono dagli avambracci e dai fianchi esterni dei polpacci.
    Ma ciò che davvero la rende unica sono i servopistoni silenziati.
    Val non ne capisce la tecnologia, ma assorbono il suono.
    Quel titano psicopatico è in grado di muoversi e di cacciare senza che nessuno possa sentirlo avvicinarsi.
    Nè i passi, né lo sferragliare delle piastre, o anche soltanto il suo respiro.
    Quella che Kallax veste è una meraviglia, donatagli da un capitano dei Signori della Notte dopo Isstvan V, per il “divertentissimo tempo passato assieme” a cacciare quei guerrieri delle altre legioni sopravvissuti al tradimento.
    Val sa che quell'armatura dovrebbe essere bianca, ma un secchio di sangue e pezzi di... cosa? Pelle? Organi? È stato riversato sulla sua superficie marmorea.
    Val sa anche che quello sotto il Primus Medicae dovrebbe essere un uomo, ma ci sono pezzi di denti, scalpo, cartilagine, e carne troppo insanguinata per essere meglio identificabile gettati tutto attorno.
    Differentemente da molti suoi simili, Kallax non sa soltanto come abbreviare una vita.
    Sa anche come prolungarla.
    Quello che Val si trova davanti è un enorme felino che gioca con un passero smembrato.
    Quando fa un passo indietro, sente il piede esitare su qualcosa di umido e gommoso.
    Un occhio.
    Il sangue le si gela nelle vene, il suo cuore è come un sacco che sprofonda in una palude.
    Deglutisce, e le sembra di dover ingoiare una pietra.
    Gli occhi di lei sono fissi sul mostro, che continua a giocare con la propria preda ancora pulsante.
    Un suo pugno deve aver impattato profondamente sul sistema nervoso di quella massa di carne, che continua a fremere e contorcersi con forza.
    E il Medicae, come un gatto -e con lo stesso sorriso sornione- ci gioca, lo colpisce, strappa qualcosa, attende reazioni.
    Kallax sa che lei sta guardando.
    Sa anche quanto lei disapprovi.
    Non gli importa.
    Non quando quei fottuti impianti gli ronzano nel cervello.
    Kallax era diverso.
    Qualunque genere di fedeltà possa covare nel proprio cervello contorto, sicuramente la prova -o provava- per Tiberius.
    Fu tra i primi a seguirlo nel suo zelo di servire il sire genetico da poco ritrovato, quando quello decise di rimodellare la Legione.
    Si offrirono come cavie, come test per quegli impianti che presto sarebbero stati diffusi a macchia d'olio tra tutti i loro confratelli.
    Stando ai diretti interessati, non si trattò soltanto di un gesto di devozione, sperando di impressionare il primate da poco ritrovato.
    Si trattò di un gesto di fratellanza.
    Molti nella compagnia morirono nelle sperimentazioni, e tutti sapevano di correre il rischio.
    Tutti sapevano cosa significasse essere i primi pezzi di ferro nelle mani di un fabbro inesperto: essere rovinati per sempre, ma anche offrirgli la possibilità di ottenere le capacità necessarie per condurre alla perfezione i loro confratelli.
    Quello che non sapevano è che non ci sarebbe mai stata alcuna arte negli impianti.
    Non nel primo esemplare, non nell'ultimo.
    I sopravvissuti ottennero solamente le versioni peggiori.
    Le reclute successive, certamente, avrebbero poi ricevuto il modello standard, ma a quei primi volontari -Tiberius, Lennar, Drakon, Kallax- non fu possibile rimuovere i parassiti malfunzionanti.
    Al Primus Medicae è andata bene, tutto considerato.
    I suoi impianti sono più difficili da saziare, ma almeno non sono degenerativi o punitivi come quelli degli altri.
    Il suo giudizio non viene annebbiato, né i suoi sensi drogati dal dolore e dal bisogno.
    Vengono semplicemente affinati, ed indirizzati verso il loro unico obiettivo.
    Ciò lo rende più ragionevole degli altri Astartes, ma anche più inquietante.
    Questo spesso fa dimenticare a Val che c'è qualcosa a cui, come tutti gli altri, non può sottrarsi.
    Uccidere.
    Lo fa solo in modo diverso, ed ora che la ragazza lo vede... più orribile.
    Kallax alza lo sguardo verso di lei.
    L'ha sentita, sa che è lì.
    Ed è immobile, pietrificata.
    Del resto è la cosa migliore da fare: Kallax non resisterebbe alla tentazione di un inseguimento, se lei tentasse di scappare.
    Si fissano per alcuni secondi.
    Poi, il Primus Medicae ride isterico, trascinando via la propria preda che urla straziata nell'oscurità.
  5. .

    II



    Gli Astartes hanno abbandonato l'arena da un pezzo.
    Val è rimasta sola con i propri pensieri, un po' per voglia di farlo, un po' per non trovarsi nei paraggi del suo capo quando, come lei ha ormai imparato a prevedere, i Ganci prendono il sopravvento.
    È già tanto che lui si rinchiuda nei quartieri di comando: altri della Dodicesima sono meno gentili, e per quanto le loro condizioni mentali non siano croniche come quella del Capitano, non usano le stesse premure... il tutto, ovviamente, a spese dell'equipaggio umano.
    Un rumore di passi disturba la sua quiete effimera.
    Non sono le pesanti scosse che accompagnano l'incedere dei Legionari, ma la lagna dei taccacci logori dei lavoratori al loro servizio.
    Se qualcuno non pulisse quello schifo, gli Astartes lotterebbero su una montagna di viscere, arti e coaguli di sangue in una manciata di giorni.
    A Val importa poco di quei netturbini.
    Non troppi anni prima, anche lei apparteneva alla loro schiera senza volto, ma la promozione a Siniscalca ha tracciato una barriera di invidie e antipatie difficilmente valicabile.
    Non che prima fosse il verme più popolare del sottosuolo, comunque.
    Scende dai container, indirizzandosi verso l'uscita.
    “Ehi, Kheren!”
    Le grida uno, alzando la mano per farsi notare e muovendosi in sua direzione.
    Altri tre suoi compari osservano sghignazzando alle sue spalle.
    Tipica situazione da scommessa virile.
    Che palle.
    Val fa un respiro profondo.
    “Oh.”
    Risponde, delicata come uno schiaffo in faccia.
    “Non ho mai visto nessuno scoparti.
    E in effetti mi sembri bella frustrata.
    Perché non ti prendi il mio cazzo, eh?”
    L'espressione della ragazza passa dal corrucciato al divertito, e gli si avvicina.
    “Ma certo, con piacere.”
    Sorride, gentile.
    L'uomo, soddisfatto, la prende sottobraccio, pronto ad indirizzarsi verso uno dei tanti anfratti della nave.
    Lei, invece, cerca un altro contatto: con le dita di ferro, sulle sue palle.
    Il lavoratore rizza la schiena, strabuzza gli occhi, rimane congelato per diversi secondi.
    Val inizia a stringere, lentamente, sempre più forte.
    Tutte le budella versate in quella radura artificiale non sarebbero mai riuscite ad ottenere una simile espressione d'orrore sul volto dell'uomo, che inizia ad urlare, supplicandola di mollarlo.
    I suoi compari offrono ben poco sostegno, spanciandosi dalle risate nelle retrovie, mentre lui non trova il coraggio per tentare il più piccolo movimento per liberarsi.
    Deve mettersi a piangere, prima che lei lo lasci andare.
    Crolla per terra, sulle chiappe, muto e sbigottito.
    Lei gli sorride ancora, facendogli un occhiolino.
    “Torna pure a darmelo quando vuoi.”

    Nel tempo libero le piace visitare il vecchio Librarium, un'ampia sala che lei non saprebbe se chiamare archivio, museo o magazzino per trofei.
    Un enorme scheletro quadrupede, con lame che emergono lungo la spina dorsale, è montato in posizione rampante all'entrata.
    Le zampe frontali, fratturate in quattro pezzi, sono tenute insieme da un supporto metallico.
    All'interno di teche e vetrine impolverate si trovano teste ed armi di ogni specie aliena incontrata e sconfitta dai legionari della Merelekh, con relative informazioni e resoconti.
    Di solito la Legione non è così scrupolosa nel conservare i propri nemici.
    L'Alto Codicista Verjell, però, era un individuo meticoloso ed attento... e sempre più isolato dai suoi confratelli, da quando il Primarca li aveva rimodellati secondo il proprio volere.
    Proprio per questo aggiornare, compilare e registrare le imprese del passato sembrava essere rimasta la sua unica soddisfazione.
    Era anche eccezionalmente ben disposto verso gli umani... non che fosse particolarmente difficile, per un individuo privo dei Ganci -incompatibili con le sue capacità psioniche- risultare più gentile dei suoi confratelli.
    Ma ad attenderla, al suo posto, c'è Drakon.
    Val lo osserva per un momento, una formica di fronte a una montagna, prima di salutarlo con un cenno del capo.
    È lui il primo a parlare.
    “Questo posto è andato a puttane, da quando Verjell s'è fatto ammazzare nelle fosse.”
    Difficile non concordare.
    Nessuno metteva piede nel Librarium nemmeno ai tempi d'oro: l'accesso era proibito agli umani, mentre i Legionari avevano talmente assorbito le tradizioni del mondo natale del loro Primarca da sputare ai piedi del Bibliotecario ogni qualvolta lo incrociassero.
    Ora quel luogo sembra essere stato semplicemente dimenticato, e una coltre di polvere e ruggine ha ingolfato ogni angolo della stanza.
    Val stringe le labbra ed abbassa il capo, prima di rispondere.
    “A volte spero di rivederlo alla sua scrivania.
    Mi ha insegnato molto sulla Legione, quando sono stata scelta.”
    Drakon non sembra particolarmente toccato.
    “Andava a genio anche a me, prima che iniziasse a farneticare di visioni infernali e destini funesti.”
    Val annuisce.
    “Chissà che cazzo gli è saltato in testa.
    Era l'unico a non avere i Ganci, e si è comunque fottuto il cervello con il Warp.”
    Il Vexillarius scrolla le spalle.
    “Non sarà stato il più memorabile sfidante di Tiberius, ma sicuramente il più inaspettato.”
    La ragazza non risponde.
    Sembra più che altro attenta a valutare l'altro, nelle espressioni e nei movimenti.
    Drakon è uno degli Astartes più... ragionevoli, ma questo non le permette comunque di abbassare la guardia.
    Ormai ha imparato ad averci a che fare.
    I Ganci sono pronti a scattare al primo passo falso, e strapparla in due parti diventerebbe semplicemente irresistibile, inevitabile per ognuno di loro, desideroso di grattare un prurito che si ripresenterebbe più intenso un istante dopo.
    Non guardarli troppo a lungo, non fare movimenti bruschi, non correre -non saprebbero mai resistere alla tentazione di un inseguimento.
    Questo è stato il suo mantra nelle prime settimane come Siniscalca.
    Ha sempre saputo, però, che anche la sottomissione li disgusta.
    È più facile che si lascino andare contro un servitore inerme, che contro uno che si fa sentire.
    È complicato.
    Drakon è abbastanza lucido da accorgersi delle sue premure, ma più che offenderlo sembrano divertirlo.
    “Allora, vuoi dirmi cosa stai facendo qui?
    L'accesso al Librarius è vietato agli umani.”
    Il tono è serio, il viso arcigno... ma sta palesemente recitando una parte, per cercare di spaventarla.
    Val lo sa.
    Sorride.
    “Questo posto non è mai interessato a nessun altro.
    E poi, mica sono come gli altri pidocchi della nave.”
    Risponde, decisa, mostrando il suo rimpiazzo bionico, il miglior biglietto da visita che lei possieda.
    Malgrado tutti i difetti della Legione, le formalità e le gerarchie contano meno di zero.
    Le storie girano, le imprese sono riconosciute senza invidia, le ferite vengono rispettate.
    Vale per tutti, anche per lei.
    “Credi che ammazzare un paio xeno ti renda speciale?”
    “Un paio di quelli?”
    La ragazza indica un bestione aracnoforme imbalsamato in una teca, alto persino più dello stesso Drakon, per quanto meno massiccio.
    “Con un cacciavite?
    In effetti sì.”
    Conclude, portando le mani ai fianchi, con l'aria di chi la sa lunga.
    “Non che qualcuno ti ritenga capace di rifarlo.
    Ma in fondo, è per questo che vai a genio a tutti.”
    Val sorride compiaciuta.
    “Quanto si può andare a genio a questa Legione, ovvero stai fuori dai piedi e forse non ti schiaccio.”
    Per un istante Drakon sembra offeso.
    Per loro, non schiacciarla, è uno sforzo serio.
    “Adesso io ti sto parlando, come ho fatto in passato.
    Kallax tiene sempre un occhio su di te, dal giorno in cui ti ha proposta.
    Verjell, palesemente, ti manca, così come ti manca Nornas.”
    La Siniscalca è sorpresa, colta in contropiede.
    Per qualche ragione, poi, quell'ultima frase suona come un'accusa di tradimento.
    Drakon continua.
    “È normale.
    Era razionale; persino scherzoso, per i nostri standard.”
    Val annuisce in silenzio.
    Era il più umano tra tutti gli Astartes che avesse mai incontrato.
    Anche Tiberius lo apprezzava.
    Val non ha mai visto il Capitano senza il suo parassita piantato nel cervello, ne ha solo sentito parlare.
    Ma ha visto Irex funzionare spesso come voce della ragione, riportando Thanatos sul corretto tracciato, veicolando in modo... positivo la nuova furia della Legione.
    Rispettoso, paziente, devoto.
    A volte, Tiberius sembrava infastidito da lui.
    Molti lo avevano seguito nell'infliggersi quel maledetto parassita, trainati dal suo carisma o dalla sua fama.
    Non il suo più vicino amico, però.
    Spesso, invece, Irex riusciva a farlo ricordare.
    Ricordare chi fosse, ricordare quali cose contassero, ricordare la propria umanità.
    Rifiutare la volontà del Primarca, però, lo ha immediatamente escluso dalla nuova Legione.
    Nessun candidato più palese di lui da cui aspettarsi lealtà all'Imperatore piuttosto che ad Angron.
    Nessuna scelta più ovvia di lui per morire su Isstvan III.
    Adesso Val che ci ripensa, trova la sua morte piuttosto simbolica.
    Ancora una volta, Drakon sembra anticipare i suoi pensieri.
    “Dopo Isstvan, il Capitano non è più stato lo stesso.”
    La Siniscalca annuisce, ma è sempre e solo Drakon a parlare.
    “Anche lui ti manca?”
    Val stringe gli occhi, non senza una punta di imbarazzo.
    “Non ho tutti questi buoni sentimenti.”
    Risponde, piccata, incrociando le braccia prima di aggiungere “piuttosto... immagino che anche tu abbia un motivo per essere qui.”
    “Il motivo è Tiberius, infatti.
    È da un po' che siamo senza Capitano.
    I Legionari iniziano ad innervosirsi.
    Tu sei la sua Siniscalca, di sicuro mi saprai dire di più.”
    Val abbassa lo sguardo, scuotendo la testa.
    “Non è che mi consideri più di chiunque altro.
    Esce solo per far fuori gli sfidanti ed assicurarsi che io tenga pulita la sua spada.”
    Allarga le braccia, desolata.
    “Come hai detto tu, non è più lo stesso.”
    L'insoddisfazione per la risposta manda una scarica di rabbia artificiale lungo la schiena di Drakon.
    I suoi impianti sembrano meno aggressivi di quelli degli altri.
    Sembrano.
    Entrambi riconoscono al volo il segnale.
    Lei si fa da parte, lui abbandona il Librarium senza guardarsi indietro.

    Se i livelli inferiori sono un labirinto di ruggine, quelli superiori non sono poi meglio.
    Gli spazi sono più ampi, meglio illuminati, ma lo stile rimane scarno, spoglio, spigoloso.
    Un metallo scuro, brunito ed opaco, è il materiale dominante in ogni direzione.
    Per lo meno, il ruggito dei motori, qui, non le massacra l'udito come ha fatto per oltre due decadi della sua vita.
    Avvicinandosi al ponte di comando, iniziano a vedersi i primi ornamenti.
    Una lunga serie di stendardi strappati appesi alle pareti, appartenenti ad imperi sconfitti e dimenticati, adorna il corridoio centrale come un unico arazzo.
    Sotto di essi, teschi -bolliti e lucidati- di ogni foggia e dimensione, umana e bestiale, sono incastonati nella parete, anonimi trofei delle Legione.
    La porta della sala comando è sbarrata di fronte a lei, un enorme rettangolo disadorno e crudo, dalla superficie irregolare e graffiata, come fosse stata presa a pugni.
    Il risultato di un passato abbordaggio, senza dubbio.
    Fuso ad essa, dove avrebbe dovuto trovarsi un pulsate di attivazione, c'è il busto monco e cieco di un servitore, lobotomizzato e connesso ai meccanismi di ingresso.
    “Val Kheren.”
    Si presenta, disgustata.
    Per un momento, c'è silenzio, se non per il rumore fatto dal sistema cogitativo-mnemonico del servitore al lavoro.
    Poi, il timbro vocale viene riconosciuto, e la porta si apre.
    Come sempre, poggiata contro il muro speculare all'entrata, la attende un eviscerator alto il doppio di lei.
    Alcune lunghe lacrime di sangue partono dai denti della lama, rigandone il piatto fino a terra.
    Guhbring, il dono del Primarca al suo Capitano dopo Sarum.
    Val ha il compito di prendersi cura di quell'arma.
    È stata la sua preoccupazione principale fin dall'inizio: fabbricata dall'Archmagus Veneratus Vel Kheredar, è una lama di incredibile pregio, che Tiberius non affiderebbe mai alle cure di un servitore automatizzato.
    Ricorda ancora perfettamente, a distanza di diversi anni, la prima volta che ha messo piede in quella stanza, o che ha toccato quell'arma: privilegi che non avrebbe mai potuto sognare in tutta la propria vita da manovale dei livelli inferiori.
    Le è servito molto tempo, per abituarsi al cambiamento.
    Non avrebbe mai pensato di camminare nei livelli superiori della nave, o di attraversare il ponte di comando.
    Non avrebbe mai pensato di poter passare in mezzo agli Astartes, di trovarsi così spaventosamente vicina a quei giganti furiosi, né di dirigersi verso i quartieri del loro Capitano.
    Siniscalca.
    Il suo titolo le suona ancora strano.
    Non ne aveva mai avuto uno, prima.
    Era uno dei tanti vermi che infestano i bassifondi della nave, carne da cannone.
    Muli da soma al servizio della Legione, poco più che bestie, discendenti dei primi lavoratori o guerrieri ausiliari che si sono imbarcati, duecento anni prima, al seguito della Crociata.
    Una vita mediocre.
    Taci.
    Obbedisci.
    Muori.
    Ma lei è stata scelta.
    Quando la Merelekh è stata abbordata da bestie aliene insettoidi, grandi più degli stessi Astartes a difesa della nave, si è fatta valere.
    Le è costato il braccio destro, certo.
    Kallax glie ne ha fatto avere uno nuovo, una meraviglia tecnologica che, come tutto il resto, non avrebbe mai potuto sperare di possedere nella propria vita.
    La Legione non spreca risorse per i propri servitori.
    Ma lei è stata scelta.
    Kallax l'ha raccolta dalla pozza di sangue in cui aveva trovata, priva di sensi.
    Solo la tecnologia dell'Apothecarion, nella sua impossibile portata, avrebbe potuto salvarla.
    E l'ha presentata a Tiberius.
    Beh, sollevata come uno straccio e lasciata cadere di fronte a lui, più che altro.
    Quello che ha fatto, il modo in cui si è difesa, è stato giudicato degno di nota.
    È stata onorata con la Mano Rossa, impressa sui suoi abiti: un segno di valore più che raro, concesso a quei pochi umani che riescano a mostrarsi degni del rispetto dei Divoratori di Mondi.
    Non dimenticherà mai la prima volta che ha visto Tiberius.
    Si aspettava un veterano della Grande Crociata, di cui gli abitanti dei livelli inferiori parlavano come lo si farebbe di un eroe mitologico, di una leggenda vivente.
    Quello che si è trovata davanti era un colosso rabbioso, con i denti metallici stretti e le labbra ritratte; un'espressione costante di odio misto a dolore incisa tra i lineamenti sciupati.
    Fremeva periodicamente, percorso da continue scariche di adrenalina.
    Gli impianti.
    L'impressione che lei ne ha avuto, vedendoli così da vicino per la prima volta, fu quella di un ragno metallico; non una macchina, ma un avido parassita avvinghiato al cervello della propria vittima.
    Non è stato facile abituarsi -o meglio, rassegnarsi- al Capitano; ai suoi occhi furiosi, glaciali, le cui pupille paiono pugnali, o agli imprevedibili scatti con cui, ogni volta, sembra intenzionato a saltarle addosso e farla a pezzi.
    Lei, dal canto suo, può porre ben poche difese, e tentare di fuggire la renderebbe una preda semplicemente irresistibile.
    La sua sola speranza è sempre stata il coraggio, sostenendo il suo sguardo, non indietreggiando di un passo, così da non suscitare reazioni ancora più gravi.
    Tutt'altro che facile, vista la differenza di forza e di stazza tra loro, ma lei crede che abbia funzionato.
    Dietro il terrificante respiro del'Astartes, pesante e irregolare; al fremere scomposto di zigomi e narici, al tremolio scoordinato delle labbra Val ha iniziato a scorgere un continuo e sofferto tentativo di mantenere il controllo.
    C'è voluto tempo, ma entro i limiti di uno che sembra poter e volerti uccidere da un momento all'altro, ha imparato a comunicare con lui.
    Per quante poche frasi la sopportazione dei Ganci gli concedesse ogni volta, a Tiberius piaceva parlare, ricordando il passato.
    Le ha raccontato di Sarum, dei precedenti Siniscalchi, dei Mastini da Guerra.
    Tra i fremiti omicidi, le scosse nervose, i tic, Val ha imparato ad indovinare l'uomo che era, o che avrebbe dovuto essere, se non avesse deciso di spezzarsi sull'altare del Primarca.
    Val ricorda di aver pensato alle statue dell'Antica Terra, quelle di cui non rimangono che minuscoli frammenti, allusioni ad una maestà perduta e inconoscibile.
    Ultimamente, salvo rarissimi casi, anche quelle ultimissime schegge si sono fatte polvere.
    Sì, Drakon.
    Pensa, tornando mentalmente alla conversazione nel Librarium.
    Mi manca.
    Le è sempre mancato, da quando ha iniziato a conoscerlo davvero: ancor prima che l'Astartes distrutto dagli impianti, avrebbe voluto vedere l'uomo rovinato da quella trasformazione non richiesta.
    Molte cose sarebbero state diverse, tra loro.
    Val prova vergogna anche verso sé stessa, ma deve ammettersi di averci pensato.
    D'altra parte, chi meglio di lui rispecchia gli ideali di forza e valore in combattimento che determinano qualsiasi canone positivo su quella nave?
    Non ha mai sentito troppo bisogno di un'altra persona, comunque.
    Tra le popolazioni dei livelli inferiori, il mundio di una donna va conquistato combattendo.
    Lei non è mai stata abbastanza bella da avere molti pretendenti, e suo padre, d'altra parte, non veniva mai sconfitto.
    Almeno fino a quel fatidico abbordaggio, si intende.
    Beh, se i vincitori del dubbio trofeo fossero stati quei due schifosi ragni xeno, lei potrebbe considerarsi fieramente vedova.
    Da allora in poi, su ogni rapporto umano è calata una cortina di malignità ed invidia, che lei stessa fomenta approfittando della propria protesi metallica nei combattimenti a imitazione delle fosse.
    Ci aveva provato un Rimembrante, prima che un decreto del Primarca li espellesse in massa dalla Legione: invano il poeta ha tentato di farle capire la differenza tra una rosa e un'erbaccia, o quale utilità quel dono potesse servire, o per quale motivo dovesse permettergli di toccarle la mano.
    Il tizio non le ha più rivolto la parola.
    Gente bizzarra, i Rimembranti.
    Val si decide a raccogliere una saccoccia con gli strumenti ed avvicinarsi a Guhbring.
    Lei stessa ci ha versato sopra sangue a fiumi.
    Quella lama non è soltanto affilata anche dove non dovrebbe, ma sembra addirittura dotata di una propria malizia, di una propria sete.
    Questo, almeno, è ciò che Val pensava all'inizio.
    Ormai, come per tutto il resto, ha imparato.
    Non le servirà moltissimo tempo, e potrà presto rilassarsi su uno degli scranni dello strategium.
    Sono dei troni metallici, rigidi, a misura d'Astartes.
    Lei, bassa persino rispetto agli altri umani, sembra soltanto una pulce, o un re bambino.
    Da quando li ha visti, li ha trovati simbolici della sua vita.
    Le piacciono.


    Bonus: artwork - Val Kheren, Siniscalca
  6. .

    Parte I – Viaggio nel vuoto
    Due mesi prima


    I



    “Stronzate farneticanti.”
    Borbotta Kull, sergente della dodicesima squadra tattica, guardando negli occhi il suo interlocutore.
    Indossano entrambi la propria armatura potenziata, una corazza tecnologica in grado di scrollarsi di dosso una salva di proiettili come se fosse pioggia.
    Le superfici bianche delle piastre sono comunque dentellate, graffiate, incise e annerite dall'uso.
    Gli spallacci, blu come un mare in tempesta, recano il simbolo della loro Legione, le fauci stilizzate dei Divoratori di Mondi.
    “Sì.”
    Concorda Drakon, l' alfiere della compagnia, ricambiando lo sguardo.
    Nessuno dei due indossa il proprio elmo, tenendolo piuttosto sotto braccio.
    Ambedue hanno la maschera facciale dipinta in ottone, simbolo dello status di veterano.
    “Ma il Signore della Guerra deve essersene convinto.
    Vale la pena di sapere che cazzo ci hanno mandati a fare qui, mh?”
    Kull scrolla le spalle, lasciandosi andare ad un sospiro rauco che sembra più un ruggito.
    Le enormi piastre della sua armatura sferragliano, accompagnate dal lieve ronzio dei servomotori che assecondano il movimento.
    “Aye.
    Prova a rispiegarmi cosa ti ha detto quella vipera della Diciassettesima.
    Senza demoni e cagate magiche, stavolta.”
    Drakon raddrizza la schiena, come se dovesse riportare un messaggio ufficiale.
    L'altro ha ben poco della sua disciplina, del tutto inusuale per la Compagnia.
    Fa balzare continuamente gli occhi da un oggetto all'altro, il viso si contrae di scatto in lievi movimenti scoordinati e casuali, i pugni fanno per chiudersi di tanto in tanto.
    Il Vexillarius lo nota.
    I Ganci.
    Kull detesta non capire.
    Basta questo per risvegliarli, e per farli iniziare a grattare, bruciare, pungolare alla base del cranio.
    “Siamo nell'avanguardia della cosiddetta Crociata Ombra.”
    “Che nome stupido.”
    Drakon tira avanti, ben sapendo che gli impianti craniali della Legione concedono spanne di attenzione decisamente brevi.
    “Dobbiamo fare ciò che abbiamo sempre fatto, massacrare gente.”
    Alla promessa di sangue, i Ganci di Kull gli concedono una sottilissima scarica di piacere artificiale.
    Tira indietro il capo, socchiudendo gli occhi lucidi e sorridendo.
    Non è un sorriso di gioia, ma il ghigno di uno psicopatico.
    I suoi denti -come quelli di ogni Divoratore di Mondi- sono per lo più rimpiazzi di metallo, resi necessari da una vita di combattimenti nella galassia quanto nelle fosse gladiatorie della Legione.
    “Quelli della Diciassettesima credono che la morte e il dolore siano...”
    Drakon abbassa il capo e porta una mano al mento, cercando le parole adatte per esporre il concetto.
    Una sinfonia nell'Immaterium, gli hanno detto.
    Un concerto di massacri su scala galattica, in grado di fratturare lo stesso piano della realtà.
    Kull lo osserva, annuendo, come se gli volesse suggerire la parola giusta: “piacevoli”.
    “Credono che abbiano un potere particolare.
    Credono che possano creare una tempesta nel Warp, capace di isolare il regno di Ultramar dal resto dell'Imperium.”
    Silenzio.
    Dopo alcuni secondi, Kull scoppia in una risata scomposta.
    “I Predicatori sono sempre stati dei creduloni fottuti, ma non credevo arrivassero a tanto!
    Le superstizioni sono sempre divertenti, e loro ne sono i re.”
    “In ogni caso, abbiamo i nostri ordini.”
    “Ordini merdosi!
    Ci hanno spediti in questo settore a macinare omini del cazzo, mentre il resto della Legione ha delle sfide vere, assaltando Armatura, colpendo Calth... affrontando altri Astartes.”
    Drakon non risponde.
    Non c'è nulla da rispondere.
    Kull respira profondamente, cercando di recuperare un po' di contegno.
    “Abbiamo fatto da cavie per i Ganci.
    Abbiamo sacrificato quasi metà dei nostri su Isstvan III.
    Abbiamo abbattuto due stazioni da battaglia lealiste ad Isstvan V, e siamo rimasti a macellare i superstiti per novantotto giorni del cazzo.
    Abbiamo servito la Legione al meglio.
    Cosa abbiamo fatto per essere scaricati in questa latrina dimenticata, a fare da balie asciutte per un'orducola di soldatini umani?”
    Drakon sorride, indicando la pistola del compagno, riposta nella fondina al suo fianco destro.
    “Porti merda.”
    È un'arma nota in tutta la Compagnia, che ha fruttato a Kull il nomignolo “Malasorte”.
    Ufficialmente, almeno: quelli informali sono meno lusinghieri.
    La pistola apparteneva a un Lupo Siderale, uno della Sesta Legione.
    Ben prima della ribellione di Horus, l'Imperatore la aveva inviata a rimproverare il Primarca Angron, affinché ponesse fine all'uso dei Ganci del Macellaio per lobotomizzare i propri guerrieri.
    La faccenda è degenerata alla svelta.
    Il sergente, disarmato, si è trovato a scegliere tra la morte ed usare l'arma nemica, ignorando la superstizione del padre genetico circa la sfortuna legata alle armi ereditate.
    Kull odia le superstizioni, ed ama il suo trofeo.
    “La fortuna serve ai deboli.”
    Sghignazza il proprio motto, suo solo e regolare commento in materia, prima di continuare.
    “Lasciala all'auxilia.
    Magari li aiuterà a rendersi utili in qualche modo.”
    Drakon sorride.
    “Dobbiamo assaltare un sistema solare, Kull, e siamo trecento Astartes.”
    Gli ricorda, divertito.
    “Avranno molti modi per rendersi utili.
    Se non altro, ci terranno caldo il posto sul campo di battaglia.”
    I due ridono, e tacciono per alcuni istanti.
    Kull si fa più serio.
    “Comando assoluto su una spedizione di conquista, con milioni di ausiliari e una flotta spaziale più vasta del tuo culo... non credevo che Tiberius ispirasse ancora tanta fiducia.
    Il Primarca deve amarlo.
    Sarà perché ha il cervello marcio quanto lui.”
    Drakon si incupisce.
    “Si è isolato persino da noi.
    Fuori dalla Compagnia ha ancora la sua reputazione.”
    “Heh, la vedo male.
    Qualunque cosa sia stato in passato, adesso...”
    Kull abbassa lo sguardo.
    Sembra dispiaciuto.
    Drakon lo anticipa prima che aggiunga qualcosa.
    “I suoi impianti erano un prototipo merdoso.
    Una copia di quelli del Primarca, secondo Kallax... decisamente troppo per un Astartes, e lo stanno massacrando.
    Ma è pur sempre il nostro Capitano.
    È pur sempre Tiberius.”
    Kull lo osserva dubbioso per un istante, poi annuisce.
    “Sì, è vero.
    Ma da Isstvan III... se ne stanno accorgendo tutti.
    Borg, per esempio...”
    Ringhia.
    “...non sopporto quel figlio di puttana.
    Si è messo in testa di sfidare Tib nelle fosse.
    Si comporta come se fosse già il Capitano.”
    Drakon sorride.
    “Mah, tanti auguri a lui.”
    “Tiberius è troppo consumato dai Ganci per fottersene di troppe cose, ormai.
    Sta lasciando un vuoto che qualcuno prima o poi dovrà riempire.”
    “Chi cazzo se ne frega, Kull.
    Mica siamo Ultramarines.
    Speravi che ti organizzasse una parata?”
    Il sergente scuote la testa.
    “Non è che l'ombra di sé stesso.
    Non mi sorprenderebbe se Borg riuscisse ad ammazzarlo, e non so nemmeno in quanti se ne dispiacerebbero.”
    L'espressione di Drakon si irrigidisce.
    “Borg non ha speranze.”
    “Borg è il campione delle fosse.”
    Gli ricorda l'altro, fulmineo.
    “Ha quasi battuto Delvarus.
    Ha spappolato la testa di un Lupo a mani nude.”
    “Vuoi metterti a misurare i cazzi?
    Hai sentito dell'assedio di Hierotzelem, ed eri presente su Sarum.”
    Kull sorride.
    “Una delle mie prime battaglie, aye.
    Molte cose erano diverse, allora.
    È passato tanto tempo.
    Ora, Tiberius è troppo preso da sé stesso per curarsi della Compagnia.
    Forse lo è sempre stato.
    Ha scelto lui per noi di fare da cavie per gli impianti, così come ha scelto per noi come schierarci in questa ribellione.”
    “È parte del suo ruolo.”
    Risponde il Vexillarius con disarmante naturalezza.
    “Avresti preferito crepare su Isstvan III?
    Ma li hai visti, quei miserabili bastardi colpiti dal virus disorganico?”
    Il sergente scrolla le spalle per l'ennesima volta, senza rispondere.
    Drakon prosegue.
    “È proprio la Compagnia il suo problema.
    Pensaci.
    Ha retto gli impianti abbastanza bene, fino ad allora.
    È da quando gli è stato ordinato di sacrificare metà dei suoi uomini – da quando ha dovuto scegliere di abbandonare Nornas, che cazzo – che si è lasciato andare.”
    Kull annuisce.
    “Come tutti noi.”



    Zarrakh non ha mai avuto speranze.
    “Un altro coglione che mangia la polvere.”
    Bofonchia a sé stessa Val Kheren, Siniscalca della sedicesima Compagnia.
    È una figura minuscola, esterna al farneticante cordone di Astartes che circonda lo spiazzo delle Fosse gladiatorie della Merelekh.
    Ha dovuto arrampicarsi su tre container impilati, per poter osservare l'incontro.
    Vi si è seduta sopra, con le gambe incrociate, i gomiti sulle ginocchia e le dita intrecciate a fare da punto d'appoggio per la testa.
    Il braccio destro, dall'unghia dell'indice alla scapola, è un rimpiazzo bionico di notevole qualità, sebbene lievemente troppo grande rispetto al sinistro in carne ed ossa.
    Le labbra carnose paiono accennare ad un sorrisetto soddisfatto.
    Divertito, forse.
    Gli occhi, vivi ed astuti, non si distolgono dagli avvenimenti che si susseguono nell'arena.

    Scivola sui propri intestini, rovinando in ginocchio di fronte all'avversario.
    Qualcuno ride, altri lo incitano a rialzarsi.
    Li ignora, tentando di rimettersi in piedi.
    Una lama a catena si abbatte sul suo fianco destro, prima di ritirarsi con un ampio strappo, gettando tessuti e interiora sopra la folla berciante grazie alla rotazione dei propri denti.
    Il fisico potenziato di Zarrakh, sergente veterano dei Divoratori di Mondi, lavora incessantemente per tenerlo in vita, accelerando il pompaggio di sangue da parte dei suoi due cuori e spingendo il lavoro dei trombociti a rapidità estreme.
    Malgrado questo, una pozza cremisi si sta formando attorno alle sue ginocchia, mentre la sua vista è sempre meno lucida.
    Ignorando la situazione, i suoi impianti craniali continuano a frustarlo, insoddisfatti, spronandolo a lottare ancora.
    Le sue urla non sono di dolore o di paura, ma di furia.
    Non ricorda quando la sua arma gli è caduta dalle mani, né gli importa.
    Allunga i palmi verso l'avversario, cercando di strangolarlo.
    Quasi non si accorge che gli vengono recisi con un unico taglio.
    Ruggisce ancora, furioso e frustrato, prima di collassare schiantando la faccia al pavimento.

    E tre, nota Val.
    Ha visto combattimenti “alla morte” nell'arena finire in due secondi, per un colpo sfortunato.
    Quelli al terzo sangue, solitamente non fatali, possono fornire un indicatore migliore della superiorità di un guerriero.
    Tiberius Thanatos, Capitano della Sedicesima Compagnia, non reagisce bene alle sfide.
    Non vuole soltanto ammazzare il proprio avversario.
    Vuole dare una lezione a tutti i presenti.
    Per quanto lo spettacolo la diverta, Val sa che è perfettamente inutile: non è il primo di quei tentativi, e senza alcuna ombra di dubbio non sarà l'ultimo.
    La lucidità del Capitano sta affondando nella merda, e con essa il suo interessamento per le cose della Compagnia.
    È soltanto naturale che i suoi uomini fiutino la possibilità di sostituirlo.
    Se è cosa comune per un ufficiale della Dodicesima Legione venire sfidato per il proprio posto, nell'anno trascorso da Isstvan III Tiberius è stato letteralmente tartassato di avversari.
    Guardarlo combattere, però, le piace sempre.
    Travolto dall'adrenalina del combattimento, lottando per appagare i Ganci, appare come un vero dio dell'arena: innaturalmente smaliziato nell'individuare ogni apertura, rapidissimo nell'approfittarne, poderoso nel calare il colpo.
    È uno spettacolo meraviglioso e tremendo al tempo stesso.
    Un tempo il Capitano era così anche quando non impugnava un'arma.
    Per lo meno, questo è ciò di cui Val si è convinta.
    Nei fatti, non lo ha mai visto senza gli impianti cranici che lo tormentano, e da quando è entrata al suo servizio come Siniscalca lo ha certamente visto peggiorare.
    Ha sentito i Legionari parlare tra di loro più volte, però, e spulciato gli archivi del Librarius.
    Qualche reminescenza ha anche potuto scorgerla di persona, dato lo stretto contatto comportato dal suo ruolo.
    Ruolo strano, tra l'altro.
    Che lei sappia, i Divoratori di Mondi sono l'unica Legione i cui comandanti scelgano un attendente speciale tra i propri servitori umani.
    Non che conosca poi molto della galassia, orgogliosa com'è di non avere mai messo piede fuori dalla Merelekh... la sua nave, la sua casa.
    La lama di Tiberius si abbatte più volte sul cranio dell'avversario, riducendolo ad una poltiglia truculenta che zampilla sguaiatamente in ogni direzione.
    L'arma finisce poi abbandonata insieme al cadavere, a malapena riconoscibile come qualcosa di organico.
    Ricoperto d'icore postumano dalla testa ai piedi, il Capitano si solleva.
    Allarga le braccia e reclina il capo all'indietro, in parte ansimando per le scariche omicide che i Ganci continuano a infliggere al suo cervello, in parte ridendo sgraziatamente per il piacere artificiale con cui lo ricompensano.
    Sono in pochi ad acclamare davvero la sua vittoria; la maggior parte si batte silenziosamente un pugno sul petto, in segno di saluto.
    Val sospetta che lui possa rendersi conto del suo scarso successo.
    È proprio nei momenti successivi a un omicidio che gli impianti gli concedono una manciata di secondi lucidi.
    Se anche li stesse vivendo adesso, comunque, non potrebbe che sentirli scorrere inutilmente come il sangue sul terreno, nella realizzazione di una fratellanza ormai distrutta.
    Tiberius lascia crollare le braccia ai fianchi.
    Lo sguardo, acceso per un lampo dal trionfo, si fa mono-tono, fissa tutto e nulla, come morto.
    Presto tornerà a fremere e grugnire, smaniando come una bestia in gabbia per dell'altra violenza.
    Questa Legione del cazzo.
    Pensa Val, sbuffando.
    No.
    Questi impianti del cazzo.
    Si chiede persino se si possano davvero chiamare in quel modo.
    Prima di essere scelta come Siniscalca, lavorava come tanti altri nei livelli inferiori della nave.
    Di tecnologia e di strutture qualche cosa ci capisce.
    Degli impianti tecnologici dovrebbero aggiungere qualcosa, non... toglierlo.
    Sono quelli che lo stanno fottendo, allontanandolo sempre più dai compagni che un tempo lo amavano.
    Ogni Legionario ha i Ganci inchiodati al proprio cranio, ed ognuno di loro sa cosa significhi essere schiavo dei loro capricci.
    Per Tiberius, la faccenda è sempre stata peggiore.
    Il capitano si muove verso l'uscita, indubbiamente diretto verso lo strategium dove sempre più frequentemente si rinchiude.
    Non è ferito, ma i suoi passi sono claudicanti, quasi goffi.
    Non ha già più nulla della compostezza marziale e della fluidità di pochi momenti prima.
    La folla si dirada alla svelta.
    Val rimane al proprio posto, sola sui container, sdraiandosi a guardare il soffitto metallico della nave.
    Sospira.
    Prima o poi in una caduta bisogna schiantarsi, ma loro stanno precipitando da troppo tempo.
    L'adrenalina può diventare apatia?

    Edited by Allart - 1/11/2016, 20:59
  7. .
    Quello vecchio in effetti ha un suo carisma particolare; è una buona sintesi dell'essenza "heavy metal" del Caos dell'epoca.
    A però me lo stile barocco non dispiace, generalmente parlando lo trovo adattissimo ai marine corrotti.

    Questo è una valida rielaborazione dell'originale, fatta eccezione per i tasconi ai fianchi e la trasformazione di Gorechild in una...cosa.
    Forse in effetti ad un personaggio come Kharn (e alla sua arma!) si addiceva quello stile un po' più minimale che qui è andato perso.

    Prenderò comunque il modello, ingoiando il boccone amaro di 29 (!!!) euro da sborsare.
  8. .
    Eh.
    Anche i miei bretoniani, un tempo fieri paladini della Dama, sono diventati nostalgici soprammobili.
    Ogni volta che li vedo un pezzetto del mio cuore grida vendetta.

    A scanso di equivoci, nel "General's handbook" hanno ottenuto delle regole proprie, ma che senso ha giocarli, se nell'ambientazione di Age of Sigmar non esistono più?
  9. .
    Inizio di un BG d'armata.
    Lo lascio qui, ai vostri impietosi giudizi.

    Dramatis Personae

    La dodicesima Legione, i Divoratori di Mondi

    Tiberius Thanatos, Capitano della sedicesima Compagnia
    Borg “Manirosse”, Campione delle Fosse
    Solomon Drakon, Vexillarius
    Kallax, Primus medicae
    Arkadios, Apotecario
    Abyron, Apotecario
    Daegron, Sarcofagus Contemptor
    Rhaskos, Sergente
    Lennar “Succhiasangue”, Sergente
    “Malasorte” Kull, Sergente
    Gerakh, Sergente

    Personale della Merelekh

    Val Kheren, Siniscalca

    La diciottesima Legione, le Salamandre


    Nocturus, Pretore
    Vashtar, Centurione

    La diciannovesima Legione, la Guardia del Corvo

    Rahalderic Vosan, Pretore
    Kyrax Marn, Capitano
    Ferax Vontees, Sergente veterano

    I difensori del sistema Prosperine

    Olef Danahir, Primo Ammiraglio





    “Ho viaggiato tra le stelle per la durata di cinque vite umane, molto prima che l'Imperatore mi prendesse tra i suoi, e ti dico questo: sciami di mostri infestano le superfici maledette di mondi senza numero, orrori così contorti che fermerebbero il cuore di un uomo soltanto alla vista.
    E quello non è che l'inizio del vero incubo, poiché non c'è mente mortale che possa razionalizzare la malvagità dell'alieno in ogni sua mutevole fattezza.
    Perché, dunque, dovrebbe sorprenderci che in una tale galassia di terrore l'umanità abbia bisogno di mostri propri, se vuole sopravvivere?”


    Capitano Kalako Jaq Harlock, Rogue Trader sanzionato, distaccato come Cercavia alla Tredicesima Spedizione.

    “Perché non eravamo affidabili. All'Imperatore serviva un'arma che non avrebbe mai anteposto i propri desideri a quelli dell'Imperium. Gli serviva un'arma che non avrebbe mai morso la mano che la nutriva. I Divoratori di Mondi non erano quell'arma. Ognuno di noi ha stretto una lama per il solo gusto di spargere sangue, e ognuno di noi ha provato esaltazione nel vincere una guerra che non aveva motivo di esistere. Non siamo i cuccioli docili e fedeli che l'Imperatore voleva. I Lupi di Fenris obbediscono quando noi non lo faremmo. Sono affidabili, mentre noi non lo siamo mai stati. Loro hanno una disciplina che ci manca, perché le loro passioni non vengono infiammate dai Ganci del Macellaio che ronzano alla base del nostro cranio. I lupi si accucceranno sempre, se richiamati. In questo senso, ignoro il perché si chiamino “Lupi”. Sono addomesticati; portano il collare dell'Imperatore, pronti ad obbedire a ogni suoi capriccio. Ma un lupo non si comporta così. Soltanto un cane lo fa.
    È per questo che adesso noi siamo i Divoratori di Mondi, e non più i Mastini da Guerra.”


    Capitano Kharn dei Divoratori di Mondi, Ottava Compagnia.

    “I monumenti sono polvere; le leggende soltanto parole, presto dimenticate, ma il sangue – il sangue è per sempre”

    Angron, Primarca della XII Legione

    “Un giorno, alla fine di tutto questo, i Ganci resteranno in silenzio, saziati dal sangue e dalla follia con cui li avete nutriti. Allora, sia anche solo per un momento, vi renderete conto. L'inferno in cui scoprirete di trovarvi è stato costruito dalle vostre mani.”

    Centurione Voss dei Divoratori di Mondi, Settantasettesima Compagnia.


    Prologo – Una fiamma nel cielo



    Rotea le spalle.
    Le sue ossa scricchiolano, infrangendo un silenzio fatto di vetro.
    “...come un mobile vecchio.”
    Bofonchia, contrariato.
    Il suo corpo non è più quello di un tempo.
    La tecnologia imperiale ha potuto protrarre la sua vita di un paio di secoli, restaurando le ossa e i tessuti.
    Ogni volta, però, le protesi, i rimpiazzi e le tecniche di ringiovanimento funzionano un po' peggio.
    Olef Danahir, ammiraglio della flotta di Prosperine, ha combattuto sin dagli albori della Grande Crociata.
    Ed è stanco.
    “Signore?”
    Domanda un ragazzotto in divisa.
    A giudicare dall'aspetto, uno dei tanti rampolli di Antroth o Porilia piazzati nelle posizioni buone dell'esercito, alla prima esperienza su una nave da battaglia.
    Olef ha poco da rimproverargli, perché la sua storia è la stessa.
    Avrà tempo per l'esperienza, così come avrà tempo per pagare con sangue e sudore la propria apparente fortuna.
    Scoprirà che il comando è una velleità, mentre la responsabilità un fardello reale.
    Non risponde.
    Di fronte ad un'immensa lastra trasparente, osserva le stelle dal proprio ponte di comando.
    È una distesa fredda, con ampie campiture di buio tra una scintilla e l'altra, come se sbuffi selettivi si fossero abbattuti sopra un immenso candelabro.
    In lontananza, puntini sempre più piccoli, può vedere Mardrion, Antroth, Porilia... i pianeti di Prosperine, sistema capitale del subsettore Beneheventian del settore Australis, al confine dell'Impero di Ultramar, nel Segmentum Ultimus.
    Il suo sistema.
    I suoi pianeti.
    Casa sua.
    Su quello sfondo procede una lenta e disciplinata adunata di vascelli.
    Resta in silenzio per dei lunghi momenti, prima di rivolgersi al ragazzo, rimasto diligentemente immobile e muto al proprio posto.
    “Quanto tempo al completamento dei preparativi?
    Quanto tempo perché la mia flotta sia pronta?”
    L'ufficiale ha un datapad in mano, che proietta verso l'alto una cascata di luce rossa, all'interno della quale è possibile distinguere una fittissima trama di dati, codici e statistiche.
    “Ancora cinque giorni e diciotto ore, secondo le ultime previsioni.”
    “Notevole, per una forza di difesa locale” sorride il vecchio.
    Difficile dire se sia ironico o meno.
    “L'avrei avuta in altri tre giorni, nei miei tempi con la Solar Auxilia.
    Ma i nostri complanetari hanno altre doti, dico bene?”
    Il ragazzo non risponde, spiazzato dalla domanda, o dalla sorprendente confidenza dell'ufficiale.
    “Se non le loro capacità, almeno il loro numero.”
    Insiste l'ammiraglio.
    Sembra volergli dare un suggerimento per la risposta.
    Suggerimento che il giovane coglie.
    “Mardrion, il pianeta formicaio, è stato in grado di fornire da solo diciassette milioni di coscritti.”
    “Diciassette milioni.”
    Ribadisce l'ammiraglio.
    “Un'impresa logistica, prima che militare.
    Non si vedeva qualcosa del genere da almeno un secolo, da queste parti.”
    “L'assalto alle lune di Naeron Beta?”
    Domanda l'ufficiale, un po' meno rigido di quanto lo sia stato fin'ora.
    “Bravo, hai studiato la storia.
    Io c'ero.”
    Torna il silenzio.
    Più che impressionato, il ragazzo sembra indispettito.
    La parentesi si chiude.
    “Sei giorni.
    Potrebbe succedere di tutto, in sei giorni.”
    In realtà, non esiste una scadenza, ma ogni operazione è pervasa da un poderoso senso di concitazione.
    Hanno ricevuto messaggi confusi, ambigui, terrorizzati.
    Messaggi pieni di angoscia e di odio, araldi di attacchi in tutto l'Impero di Ultramar.
    Messaggi che parlano di tradimento e di guerra civile.
    Soltanto un anno prima, l'ammiraglio avrebbe ritenuto il pensiero ridicolo.
    L'umanità, finalmente riunita al termine della Lunga Notte, era sul punto di affermare definitivamente il proprio dominio sulla galassia, signora di miriadi di pianeti governati da un solo ideale.
    Miriadi di pianeti votati alla ragione, al progresso, alla scienza.
    Miriadi di pianeti nelle mani di una sola, stupida specie, pronta a dilaniarsi con le proprie mani un gradino prima dell'eccellenza.
    Olfar lo trova incredibile.
    Di più: lo trova intollerabile.
    Di fronte a tale caos, nell'incertezza di possibili attacchi, il governatore di Porilia ha ordinato immediatamente l'assemblaggio di una flotta e l'ha posta sotto il suo comando.
    In questo momento, però, non si è chiuso nemmeno un dito di quello che dovrebbe essere il suo pugno.
    Lui è lì, attende, gli occhi sulle stelle, e su quella titanica, ingombrante clessidra in cui, granello dopo granello, inizia a formarsi una montagna.
    Inizia a formarsi la sua flotta.

    Lo scoppio di luce è come una pugnalata negli occhi.
    L'ammiraglio chiude le palpebre, ma questo non risparmia alle sue orecchie il grido lancinante che echeggia dall'immaterium, visibile come la pelle viva dentro una ferita nel tessuto della realtà lacerata.
    Olef, come tutto il resto dell'equipaggio, rimane stordito dall'orribile spettacolo di un salto warp.
    Avvolta da spire di fuoco sovrannaturale, un'armada di navi di ogni foggia e dimensione emerge nel fianco della sua flotta.
    Un secondo è sufficiente per identificarne lo stile.
    Sono -erano- navi imperiali.
    Un brivido scivola lungo la schiena del vecchio uomo.
    Alla testa dell'assalto, una stazione da battaglia dell'Adeptus Astartes – un colosso di ceramite e metallo, l'equivalente di due o tre grandi metropoli planetarie condensate e finalizzate in una sola macchina da guerra.
    L'armata difensiva non attende alcun ordine.
    Inizia a sparare.
    Segno di scarsa disciplina, certo.
    Ma Olef non ha nulla da recriminare.
    Tutta la sua esperienza non può aiutarlo in un evento tanto rapido, tanto inaspettato e tanto assurdo.
    Lo spazio si costella di mute esplosioni.
    Navi di entrambi gli schieramenti, incrociatori e fregate, si scambiano raffiche per brevi momenti, prima di scomparire tra le fiamme, lanciando i propri pezzi in ogni direzione.
    “A tutta la flotta, attivare il protocollo Melchior-87!”
    Grida, lanciandosi sul tavolo dello strategium, dando le spalle alla battaglia visibile attraverso l'enorme pannello.
    Questa volta, le sue navi reagiscono con insperata professionalità, assumendo una formazione difensiva semplice, ma rapida da attuare.
    Gli attaccanti, però, non smettono di martellarli nemmeno per un secondo, trasformando vascelli in nubi di schegge e rottami inerti che galleggiano nel vuoto.
    In mezzo a quella sinfonia di distruzione, il behemoth degli Astartes avanza inarrestabile.
    È lanciato all'attacco, ignorando qualsiasi necessità di coesione o strategia rispetto alla flotta che si lascia alle spalle, come se la considerasse indegna delle sue attenzioni, o come se fosse perduto in una furia cieca, una smania di colpire.
    Olef sente le ginocchia cedere, mentre la nave si addentra nel suo schieramento difensivo.
    Il ruggito ritmico e regolare dei cannoni di fiancata trasforma costantemente decine di fregate in relitti deformi, spegnendo con esse migliaia di vite simultaneamente.
    La prua, invece, travolge con noncuranza le navi che le si trovano davanti, gettandole prepotentemente da parte; altre, travolte nella zona centrale, vengono spezzate dalla potenza dell'impatto, condannando lo sfortunato equipaggio a una lancinante morte nel buio siderale.
    Soltanto i caccia della flotta attaccante riescono a raggiungere la poderosa stazione, lanciata nel suo assalto solitario.
    Il colosso non presta loro attenzione: finiscono travolti dal suo stesso fuoco, nel caso si trovino a volare tra esso e il bersaglio.
    Tuttavia, separata dal resto della flotta attaccante, la stazione da battaglia subisce un fuoco di ritorno punitivo.
    Decine di incrociatori dirigono su di essa i propri i cannoni, accerchiandola come un plotone d'esecuzione.
    Gli scudi della bestia metallica protestano, traballano, talvolta muoiono.
    Alcune esplosioni lungo le fiancate segnano la distruzione di parte dei suoi cannoni, mentre frammenti della sua corazza vanno a sommarsi alla mole di detriti fluttuanti che si lascia alle spalle.
    Per ogni taglio che viene inflitto a quella nave, tuttavia, decine di difensori periscono ingloriosamente, unendosi al già vasto cimitero di rottami sospesi nel vuoto.
    Olef osserva il fuoco della sua nave, l'ammiraglia, che si aggiunge all'attacco contro la stazione.
    Ancora alcuni minuti così, con quel tasso d'attrito, e riuscirà ad abbatterla.
    Non ha dubbi che i traditori finirebbero per ritirarsi, vedendo il proprio colosso cadere.
    A cedere, però, sono invece le sue reclute.
    Per ogni colpo messo a segno, una decina di navi deve sacrificarsi.
    Ne servono molti, di colpi, e l'ultimo non pare in vista.
    Di fronte a quello scenario -di fronte a quel cielo illuminato di fiamme- nessuno di quei soldati e marinai appena reclutati vuole continuare a rischiare la vita nella speranza di un tiro fortunato.
    La formazione cede.
    Le sue navi si ritirano, mentre quelle nemiche premono in avanti.
    Olef guarda lo schieramento sgretolarsi attorno a lui.
    I suoi occhi passano sui volti dei suoi collaboratori, degli ufficiali e degli inservienti sul ponte di comando.
    Ognuno di loro tace, gli occhi spalancati.
    L'ammiraglio apre la bocca per il proprio ultimo ordine, ma in quel momento il pavimento gli si scuote sotto ai piedi, facendolo rovinare a terra.
    La scossa è accompagnata da un orrendo ruggito metallico.
    Attraverso lo schermo d'osservazione, si possono vedere gli shuttle d'abbordaggio di una Legione sfrecciare verso l'ammiraglia Beneheventiana come avvoltoi lanciati su un cadavere.

    L'allarme della nave si dispera ormai da molti minuti, come se la struttura piangesse la morte del proprio equipaggio.
    Per tutti i corridoi della nave sono sorte barricate improvvisate, create con qualsiasi oggetto a portata di mano, e lo stesso è stato fatto sul ponte di comando.
    Provvedimenti utili al massimo per ritardare la carneficina; Olef non si fa illusioni, ma ha inviato diverse squadre a sovraccaricare i reattori.
    Guadagnando per loro abbastanza tempo -e sperando che non incontrino Astartes sulla propria strada- potrebbero ancora riuscire a portare con sé gli attaccanti.
    Perdere molti dei propri Astartes all'inizio dell'invasione -vederli morire così ingloriosamente- getterebbe la flottiglia traditrice nel caos, ne è certo.
    Devono solo guadagnare abbastanza tempo.
    Non devono fare niente di straordinario.
    È una delle azioni più antiche e più tipiche, nella difesa di una nave senza speranze.
    Devono solo resistere.
    Ma Olef, così come i suoi compagni, non ha mai combattuto contro un Astartes.
    Guerrieri postumani, creati dalla scienza genetica dell'Imperatore per non avere pari nella galassia; una forza di conquista che ha schiacciato imperi alieni e traditori senza numero.
    Soldati enormi e brutali, ognuno di loro un titano dotato del miglior addestramento e delle migliori armi a disposizione dell'Imperium.
    Li ha visti di sfuggita, in alcune campagne della grande crociata.
    Anche a livello personale, di umano resta loro ben poco.
    La loro efficienza, però, è senza pari.
    Più che soldati, sono armi.
    Armi impazzite, ora, che si sono rivolte verso il regno che le impugnava.
    Se la teoria di difesa è semplice, l'ammiraglio sa che la pratica sarà impossibile.
    Ogni segnale rispetto alle forze schierate nel resto della nave viene meno.
    Con gli altri trasporti, l'unico contatto è quello visivo, attraverso il vetro dello strategium, che vede una battaglia ormai in fase terminale.
    Pochi soldati leali rimasti, accerchiati e distrutti dai traditori.
    Olef e i suoi sono soli, trincerati dentro il ponte di comando.
    Isolati dal resto della galassia.
    Quando la porta si sfonda in un tripudio di metallo e fiamme, ad entrare è un'orda impazzita di giganti dalle armature bianche, già ricoperti di sangue.
    Si lanciano senza cura sopra le barricate difensive, armati di pistole e lame a catena, incassando decine di colpi che avrebbero dovuto uccidere un uomo mortale, mentre loro continuano a macellare noncuranti i difensori dello strategium, lanciati, spezzati, schiacciati come se fossero bambole.
    Le urla -furiose da una parte, terrorizzate dall'altra- riescono soltanto a fare da sottofondo all'orrendo ronzare delle armi degli Astartes, o alle ossa che si spezzano quando essi calano sugli avversari con le nude mani.
    La teoria difensiva era semplice.
    La pratica... orribile.
    Troppo per qualsiasi essere umano.
    Bastano un paio di minuti perché i difensori crollino, prendendo a correre disordinatamente verso l'uscita, verso una salvezza che non sembra poter essere trovata.
    Molti scivolano nel lago di sangue ed organi interni che si è formato ai loro piedi, altri sulla pila di corpi scomposti ammassatisi tra le barricate.
    Olef è tra i fortunati.
    Si ritrova a vagare tra le gallerie disabitate della sua nave, ancora circondato dal clangore e dalle grida di schermaglie lontane.
    Le pareti dei corridoi, un tempo delicati e candidi esempi di architettura imperiale, sembrano adesso le pareti di un mattatoio.
    Ai loro piedi, una processione di corpi decapitati si distende senza fine apparente.
    Le ossa doloranti, il fiato corto e il vecchio fisico provato dallo sforzo, Olef continua ad avanzare.
    Forse, con un po' di fortuna, potrebbe raggiungere una scialuppa di salvataggio, ed eludere il fuoco intercettatore che inevitabilmente la bersaglierebbe.
    Forse.

    È un soldato navigato, che ha fatto quel mestiere per tutta la vita.
    Ha represso tre ribellioni planetarie, forzato il blocco di un settore... da giovane, persino partecipato ad alcuni abbordaggi.
    Ha addirittura combattuto contro i pelleverde, quando hanno tentato di invadere il suo settore.
    Ma una vita non gli è bastata per prepararsi a quello.
    Le capsule non ci sono più.
    Qualche passeggero che ha avuto la buona idea di defilarsi all'inizio dello scontro, probabilmente.
    C'è sangue anche lì, ma nessun corpo.
    Forse hanno combattuto per i posti.
    Forse, gli Astartes li hanno raggiunti ed hanno espulso le capsule vuote, tagliando anche quell'ultima via di fuga.
    Gli gira la testa.
    Deve poggiarsi al muro, respirando dolorosamente.
    Non gli resta più alcuna speranza.
    È successo tutto così velocemente... che cosa sta facendo?
    Scuote la testa.
    Così nell'angolo, anche nel suo vecchio corpo può ancora scorrere un po' di adrenalina.
    Sfodera la spada che porta al fianco, una magnifica lama ricurva e cesellata, donatagli dal governatore in occasione della sua nomina ad ammiraglio.
    Il fucile è andato perduto nella difesa dello strategium.
    Alza la lama, osservando le scene di battaglia che la decorano.
    Ora ricorda.
    È un soldato.
    I soldati combattono.

    È tornato indietro, al ponte di comando.
    C'è silenzio, adesso.
    È troppo tardi.
    Il luogo pulito e ordinato che gli era tanto familiare sembra essere stato pervertito in una visione infernale.
    Ovunque Olef sposti gli occhi, trova corpi martoriati, arti, sangue e tessuti molli che non riesce a identificare.
    Tra le barricate, pile di corpi ammassati e il sangue che scorre come un fiume.
    Il tavolo, gli scranni, il database sono stati a loro volta trasformati in altare sacrificali, stazioni di tortura o strumenti per esecuzioni più creative.
    L'ammiraglio avanza in quello scenario, e gli sembra di camminare in un incubo.
    Li ha abbandonati.
    Li conosceva tutti.
    Ma è difficile piangere i morti così a pezzi, spesso irriconoscibili.
    I proiettili dei Requiem, le armi da fuoco degli Astartes, sono progettati per esplodere una volta penetrati all'interno di una massa corporea.
    Quando li vedeva sparare contro nemici alieni, riusciva unicamente a meravigliarsi della loro efficienza.
    Soltanto adesso si rende conto di quanto una simile morte sia poco dignitosa.
    I corpi sembrano fogli di carta strappati, interrotti e sfilacciati bruscamente nella zona del torso, dello stomaco, delle anche, tristemente avvolti dai loro organi interni.
    Ma la visione più comune su quei cadaveri sono i tagli di arma a catena, larghe, grossolane lacerazioni in grado di ridurre in poltiglia la carne quanto lo scheletro.
    Oltre agli schizzi di sangue -secchiate, più che zampilli-, piccoli brandelli di ossa, muscoli e pelle sono disseminati ovunque: sul pavimento, sulle pareti... persino sul tetto.
    L'odore di morte è insostenibile.
    Più volte, nella sua avanzata, Olef è costretto a lottare contro sé stesso per non vomitare.
    Sul fondo del ponte, ridotto ormai ad una interminabile galleria in cui un artista malato ha esposto le proprie atrocità, si trova lo strategium.
    Una dozzina di Astartes, le bianche armature ricoperte di sangue e interiora, sta ponendo termine alle ultime sacche di resistenza.
    I combattenti crollano in una manciata di secondi, orribilmente dilaniati dai propri nemici.
    C'è poco di glorioso da osservare nella loro triste fine.
    Ma sono uomini migliori di lui, pensa Olef.
    Punta la spada verso i giganti, da solo al centro della stanza.
    “Dicono che un tempo la dodicesima fosse una Legione gloriosa.
    Voi dovete essere quel ch'è avanzato.”
    La voce gli trema, ma riesce comunque ad insultarli.
    Uno di loro punta verso di lui la propria pistola, ma un altro, dall'armatura orribilmente decorata con lame e volti demoniaci, lo ferma con un gesto della mano.
    A differenza degli altri non indossa un elmo, lasciando intuire, sotto una maschera di sangue, due occhi glaciali e dei cortissimi capelli albini.
    Nel pugno destro stringe un'ascia metallica, avvolta da sfrigolanti ondate di energia celeste.
    L'avambraccio sinistro è dotato di quelli che Olef riconosce essere gli strumenti dell'Apothecarion, la divisione medica delle Legioni.
    Il guerriero sorride, rivelando una fila di denti limati e seghettati fino a diventare più simili a quelli di uno squalo che di un uomo.
    Molti di essi sono rimpiazzi metallici.
    “Ah.
    Tu devi essere l'ammiraglio.
    Mi chiedevo dove fossi finito.”
    “Sono sul mio ponte di comando.
    Andrò giù con la nave.”
    Risponde Olef, risoluto.
    “Allora, chi di voi vuole essere il primo?”
    Aggiunge, spavaldamente, ma è talmente poco convinto da risultare ridicolo.
    Lui è un vecchio ingobbito, e loro sono macchine da guerra ambulanti.
    Il volto dell'Astartes si illumina di gioia, come se l'ammiraglio gli avesse appena suggerito un'idea geniale.
    “Ma certo!”
    Risponde, entusiasta.
    Olef non capisce, ma gli occhi bramosi e spalancati con cui il gigante lo fissa lo mettono terribilmente a disagio, forse più ancora della distruzione che li circonda.
    “Forse può non sembrare, ma...”
    Sibila l'Astartes, serpentino, allargando le braccia per alludere allo scenario circostante.
    “Siamo gente civile.
    Brava gente.
    Come potremmo negartelo?”
    Ridacchia gelidamente, venendo però poi interrotto da una scossa infastidita.
    “Muoviti con i tuoi giochini del cazzo, Kallax.”
    Borbotta uno dei guerrieri.
    Olef aveva spontaneamente inteso l' albino come un ufficiale.
    Vedere i suoi soldati parlargli così lo sorprende.
    Adesso che sposta lo sguardo anche sugli altri Astartes, li vede fremere, insofferenti per il teatrino del loro presunto superiore.
    Kallax si volta verso di loro, squadrandoli minacciosamente per alcuni momenti.
    Olef crede di riconoscere i suoi pensieri dall'espressione.
    Sta valutando quanto gli sia ancora possibile imporsi su di loro, mantenere il controllo, farsi rispettare.
    “Andate pure.”
    Ghigna finalmente il Medicae.
    “Ci rivediamo sulla Merelekh.”
    Olef è stanco di attendere.
    Si lancia sull'Astartes con la propria spada, proprio mentre gli altri giganti lo abbandonano.
    Nemmeno si accorge dei movimenti con cui l'altro intercetta il suo polso, ora monco, con la lama rovente dell'ascia, o con cui gli sferra un calcio che lo stende al tappeto, spezzando costole ed anca con disarmante facilità.
    Il suo corpo ridotto a una rovina ardente, l'ammiraglio è immobilizzato a terra.
    Kallax lascia cadere la propria arma, voltandosi verso il tavolo di comando dello strategium.
    Prende a strappare le lastre metalliche che lo rivestono, attorcigliandole poi con una forza incredibile, che appare invece per lui del tutto spontanea.
    Le sta trasformando in pugnali -no, le sta trasformando in chiodi.
    Olef capisce.
    Non riesce a muoversi, così come non riesce a trattenere un urlo di terrore.
    L'Astartes solleva il vecchio per il collo con una mano, senza alcuna fatica, abbandonandolo poi sul tavolo dello strategium.
    Olef continua a gridare e piangere, testimone paralizzato della propria tortura.
    Più lui lo fa, più il gigante albino sembra trarne piacere.
    La prima lama penetra nella spalla destra, continuando a spingere a fondo, inchiodandolo alla
    piattaforma.
    “Shhh.
    Tranquillo.”
    Lo deride l'Astartes, fingendo di volerlo rassicurare.
    “Andrai giù con la nave.”

    Il cielo visto da Madrion è una distesa di fiamme.
    Rikard lo osserva da una stazione strategica di Zoran, la capitale-formicaio, i cui edifici sono tanto alti da toccare le nuvole e tanto profondi da sfiorare il cuore del pianeta.
    Una nuova stella sembra accendersi ad ogni secondo, eco delle cannonate che esplodono nell'atmosfera.
    I registri dati , vox e intercettatori prendono a squillare paranoicamente.
    L'ammiraglia, un bolide in fiamme grande quanto un continente, è stata lanciata a tutta velocità verso la capitale del pianeta.

    Edited by Allart - 1/9/2016, 17:04
  10. .
    Cerco 5 space marines assaltatori (non importa se con zaini a reazione o meno: anche dei maranza con lo zainetto normale e pistola e spada a catena vanno benissimo); 5 devastatori (non importa con quali armi) e sei marine con fucile requiem. Preferibilmente non dipinti ma valuto ogni offerta. Contattatemi via pm :)
  11. .
    Figurati.
    Io ho comprato i miei pezzi in un negozio indipendente, comunque stai tranquilla che non sgarrano :)
  12. .
    Gli zombie mantic sono questi:
    www.manticgames.com/Shop-Home/Kings...30-Figures.html
    Come vedi il prezzo di una scatola è all'incirca lo stesso del corrispettivo gw, però ci tiri fuori tranquillamente il doppio dei modelli.
    Io ti consiglio di prendere questa scatola, con una spesa irrisoria (al confronto con quel che pegheresti in gw) hai mezzo esercito fatto:
    www.manticgames.com/Shop-Home/Kings...10-Figures.html

    Gli scheletri come truppa possono andare, io li uso per portare il necromante!
    Per gli spettri dannati non ti so dire, dipende da quanto l'avversario ha possibilità di farti danni magici. Può toglierteli subito così come potrebbero fare sfaceli.. Dipende molto da chi ti trovi davanti secondo me, però sono una scelta interessante :)
  13. .
    Esaminando ciò che hai:

    Necromante - Lo giocherai sicuramente, essendo l'unico pg che vedo potresti giocarlo come sommo. Ovviamente promuovendolo al quarto livello, poi puoi dagli l'equipaggiamento che preferisci ma basterebbe già così.
    Vaghful - Io lo trovo un pezzo molto simpatico per prendere i fianchi, lo potresti provare.
    40 ghoul - Non sono più performanti come nella vecchia edizione ma io una padella da venti la gioco. Volendo tu ne potresti giocare due, o una da trenta. Però è meglio contendersi e spendere punti su altro anzichè su troppi di loro..
    30 zombie - Questi li devi almeno duplicare, e metterne da parte un'altra trentina sulle evocazioni. Se non fai tornei gw, ti consiglio i pezzi mantic, il risparmio è incredibile.
    Carro dei cadaveri - C'è chi lo trova troppo lento, io sono curioso di provarlo. La regola vigor mortis è interessante, secondo me merita una possibilità.
    8 basette di pipistrelli - Forse anche troppe, un paio di unità da due/tre basette sono molto buone, facendo sempre attaccare per ultimi a contatto di base. Chiaramente, da usare in supporto ad altre unità e magari prendendo i fianchi, ma credo vadano bene anche per impantanare le unità più semplice.
    10 guardie dei tumuli - In questa edizione si preferisce altro ma io sono tra quelli che continuano a giocarle. Però credo che venti sia il minimo risicato...
    10 scheletri - Si preferiscono gli zombie come truppa, anche se io gioco pure loro. Potresti unirli alle guardie dei tumuli per accrescere l'unità o viceversa, intanto...

    Sicuramente al tuo posto prenderei un vampiro almeno, e moltiplicherei gli zombi. Il resto dipende da te... I Vargheist sono delle buone scelte, così come le banshee, le ombre, gli orrori, il terrorgheist... Il libro offre molta varietà, ed io credo che la cosa più importante sia scegliere i modelli che ti piacciono per completare la lista :)
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    A questo punto potrei anche pensare di giocare Vlad ed Isabella :)
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    I ghoul li trovo simpatici da bg ed aggiungono varietà all'esercito, non mi interessa la loro scarsa competitività^^
    E invece l'inserimento di una carrozza nera come lo vedi?
1519 replies since 14/7/2007
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